La gestione biologica della vite
permette di ottenere risultati produttivi e sanitari comparabili
alla gestione integrata. Inoltre l'impatto ambientale delle
singole gestioni agronomiche, quantificato mediante l'utilizzo
delle impronte di carbonio, azoto e acqua, ha permesso di
evidenziare la maggiore sostenibilità in vigneto. È quanto
emerso dalla sperimentazione durata oltre dieci anni nel campus
di San Michele all'Adige, in Trentino. Si tratta di uno studio
pluriennale di confronto gestioni in vigneto iniziato nel 2011
presso il vigneto "Pozza" della Fondazione Mach, condotto
dall'Unità Agricoltura Biologica del Ctt e supportato
dall'Azienda agricola Fem, dall'Unità trasformazione e
conservazione e dall'Unità chimica vitienologica e
agroalimentare. Dal 2019, inoltre, lo studio conta anche la
collaborazione con l'Università della Campania e con
l'Università della Tuscia. "Il sito oggetto di studio - spiega
Daniele Prodorutti, responsabile dell'Unità agricoltura
biologica - è rappresentato da un vigneto Fem coltivato con
Pinot bianco e Riesling Renano e allevato a pergola semplice
trentina. Le valutazioni hanno interessato: performance
vegeto-produttive del vigneto, sanità delle uve, qualità dei
mosti e vini, fertilità chimica e biologica del suolo, impronta
ecologica dei sistemi di gestione".
La vigoria delle viti è risultata tendenzialmente inferiore
nelle gestioni biologiche, pertanto, per il mantenimento
dell'equilibrio vegeto-produttivo della vite, è necessario -
sottolinea Fem - prevedere un'ottimizzazione delle strategie di
fertilizzazione mediante l'integrazione dei diversi input
organici. Relativamente alla fertilità chimica del suolo e alla
disponibilità di nutrienti, la gestione biologica ha
complessivamente equiparato la gestione integrata.
L'applicazione di letame maturo ha fornito potassio al suolo e
l'erbaio da sovescio si è rivelato una valida strategia
agronomica in termini di rilascio di azoto minerale nelle fasi
fenologiche di maggiore fabbisogno per la vite. Inoltre, lo
studio ha messo in evidenza la capacità delle matrici organiche
di sequestrare carbonio nel suolo.
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