Estate1980, l'Italia del calcio
riapre le frontiere agli stranieri.
Dino Viola, presidente della Roma, tira fuori dal cilindro Paulo
Roberto Falcao. Un grandissimo, anche se molti nella capitale
aspettavano l'altro asso brasiliano Zico, finito poi
all'Udinese.
L'infanzia, la povertà, i primi scarpini, la Seleçao, Pelè, Roma
in
5000 a Fiumicino, poi in campo e nei salotti "bene", niente
colpi di
tacco e fisico di un tedesco, i trionfi. Il tutto in un libro in
uscita 'divino demone' scritto da Mauro De Cesare ed Enzo
Palladini con prefazione targata Luigi Ferrarjolo e Marco
Evangelisti.
Con altri campioni, da Di Bartolomei a Conti, da Pruzzo a Nela,
il divino Falcao fa grande la squadra giallorossa. Sfide al
veleno con la Juve, saranno Regine degli Anni Ottanta. Niente
più inferiorità o frustrazioni anche per merito del "Divino",
forte come pochi altri. La Roma vince lo scudetto 1982-83.
Piazze, vicoli,
quartieri, rioni, nobili o proletari vestiti di giallo ocra e
rosso
pompeiano. Emozioni, gioia. Ma il brasiliano cerca e trova, a
sorpresa, un accordo con l'Inter e Sandro Mazzola, che solo
Giulio Andreotti fa
strappare a Ivanoe Fraizzoli. Accade. Ma accade anche che un
anno
dopo, la Roma sia in finale di Coppa dei Campioni all'Olimpico
contro
il Liverpool. Un segno del destino. Una città sogna l'estasi,120
minuti di ansie, paure, speranze. Rigori: Falcao decide di non
tirare.
La Coppa vola in Inghilterra, si divide la tifoseria, la stampa,
perfino società e spogliatoio. Da allora sarà meno divino.
Dolore,
lacrime, accuse, rimpianti, tribunale. E' addio, la fiaba di
Paulo
Roberto Falcao si conclude, la verità è come una moneta: ha due
facce.
Le stesse di una storia che sembra ripetersi, proprio adesso,
con la Roma di oggi, quella di Mourinho, uscita sconfitta sempre
ai rigori dalla sfortunata finale di Europa League a Budapest
contro il Siviglia.
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