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La parola della settimana è bla bla bla (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana è bla bla bla (di Massimo Sebastiani)

12 novembre 2021, 17:52

Redazione ANSA

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La parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA

La parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA
La parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il destino delle parole è piuttosto singolare: possono essere pietre – un’espressione un po’ retorica che ogni tanto ci sfugge: ‘parole come pietre’, per dire che rappresentano un peso enorme e che possono colpire e affondare, qualcosa o qualcuno – o possono essere vuote, futili, fumose, ingannevoli. Parliamo in questi casi di ‘giri di parole’, ‘belle parole’, cui non in genere non segue nulla e che mascherano una sostanziale volontà di non cambiare niente.

Ascolta "La parola della settimana: bla bla bla (di Massimo Sebastiani)" su Spreaker.

A volte fumisterie, cioè vere proprie fumisterie, burle in cui il malcapitato e sbalordito da un uso dei termini utilizzati nelle forme fintamente colte di un linguaggio che vuole apparire alto e complesso, come nell’immortale sequenza della supercazzola che ha per protagonista Ugo Tognazzi-conte Mascetti nel primo e insuperato capitolo di ‘Amici miei’ di Mario Monicelli.

Per ragioni geografiche e anagrafiche Greta Thunberg, la diciottenne svedese che sta consacrando la sua adolescenza all’attivismo ambientalista e che certamente non conosce quel film, ha preferito l’espressione dei fumetti che ha dato anche il titolo ad un volume dei classici di Walt Disney, ‘Paperino Bla Bla Bla’: ecco un’espressione che bolla un discorso come pura retorica, chiacchiericcio vano, acrobazia linguistica, in definitiva promessa mancata. Parole alle quali, per l’appunto, non seguono i fatti. Ma siamo proprio sicuri che dietro al bla bla bla non ci sia proprio nulla? Nulla che sia in qualche modo utile e utilizzabile, che non rimandi semplicemente al futile e al vuoto, alla fumosità e all’inganno?
L’espressione, che non è nuova, ha avuto comunque un successo immediato.

E proprio nel luogo a cui l’invettiva di Greta era diretta, quella Glasgow dove si tiene la COP26, ovvero il ventiseiesimo vertice annuale che si svolge a partire dal 1995 (era a Berlino) e COP significa conferenza delle parti in riferimento ai contraenti di un accordo sul clima stipulato a Rio de Janeiro nel 1992. Lì è stato il premier Johnson a citare l’attivista svedese assicurando che la COP26 non sarebbe stata solo Bla bla bla. Ma anche il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha immediatamente cavalcato l’onda per riferirsi alla necessità di vere e immediate riforme anche in relazione alla transizione ecologica e il presidente del Consiglio Draghi ha ammesso che a volte si nasconde dietro le parole l’incapacità di agire ma si è detto convinto che stavolta i leader vogliano davvero intervenire sul clima. Ma da dove viene l’espressione bla bla bla?

Greta l’ha usata non solo perché come tutti i giovani si è probabilmente nutrita anche di fumetti ma soprattutto perché Bla bla bla è un’espressione onomatopeica internazionale, in cui dunque i suoni suggeriscono l’oggetto e il significato del termine, in questo caso appunto la vacuità (e quindi l’inutilità) delle parole. C’è un disc jockey italiano che su questa idea ha fatto una certa fortuna: ‘Bla bla bla’ è il titolo di un brano che taglia, campiona e ripete le parole di una stessa frase (che è: ‘Stavo pensando a cosa mi hai fatto’) ad indicare che non c’è soluzione a questo continuo rimuginare e contorcersi, non c’è risposta alla domanda ‘Cosa mi hai fatto’. Insomma, sembrerebbe di stare dalle parti della supercazzola. Ma in realtà è una lunga storia: l’espressione riprende il verbo di origine latina blaterare e il suono riporta a quel bar che in greco è all’origine di barbaros, perché barbaros è colui che balbetta, che fa rumori senza senso (senza senso per chi li ascolta ovviamente) e non riesce ad esprimersi. E’ con ogni probabilità la stessa radice della parola americana blabber che vuol dire senza senso e da cui si forma l’espressione ‘blab blab blab’ diventata poi blah, con l’h finale, usata per la prima volta dal giornalista americano Vincent O’ Brien.


Ma non tutti i Bla sono destinati a perdersi nel vuoto. Un’autentica battaglia in difesa delle parole, anche quando sembrano fiumi destinati a sommergerci, l’ha fatta in questi giorni Il Foglio, il quotidiano fondato da Giuliano Ferrara e diretto da Paolo Cerasa, per spiegare (a Greta e non solo) che è grazie a queste parole, faticose da decifrare, a volte apparentemente inutili, indispensabili strumenti di dialogo e mediazione, che, da Parigi nel 2015 quando furono firmati accordi vincolanti per 190 paesi, si sono fatti in realtà progressi nella lotta al riscaldamento globale.

Lenti, certo, come a volte sembra essere lenta la politica se messa a confronto con la fulminea fascinazione di certi slogan che, insegna la storia, raramente hanno però prodotto risultati. Senza contare che quell’espressione così vicina alla lallazione dei bambini continua ad avere il fascino di una creatività indispensabile per crescere e progredire. Come nell’avanguardia artistica denominata Dada, irriverente e contraria a ogni convenzione, e in un celebre successo dei primi anni ’80 del gruppo tedesco Trio, che si prendeva gioco della retorica dell’amore pur sottolineandone la sua ineluttabilità.

 

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