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“Il Conte de Guiche, oltre l’ombra di Cirano”, la storia mai raccontata dell’antieroe di Rostand

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“Il Conte de Guiche, oltre l’ombra di Cirano”, la storia mai raccontata dell’antieroe di Rostand

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Responsabilità editoriale di NEW LIFE BOOK

Il romanzo d’esordio di Vittorio Colomba punta i riflettori sul personaggio più oscuro del Cirano de Bergerac, per restituirgli una umanità quanto mai contemporanea

30 dicembre 2023, 16:56

NEW LIFE BOOK

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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PressRelease - Responsabilità editoriale di NEW LIFE BOOK

Il Cirano de Bergerac di Rostand è un’opera tanto popolare da appartenere ormai saldamente all’immaginario collettivo, al punto da essere rappresentata e rivisitata ancora oggi con grande successo. Cirano, il poeta-soldato dall’animo intrepido, domina la scena con il suo naso pronunciato e la sua eloquenza tagliente, insieme all’amata Rossana e al bel cadetto Cristiano, al quale presterà le sue parole. C’è però un altro personaggio che rompe il triangolo amoroso e cattura l’attenzione degli spettatori, pur rimanendo nell’ombra: si tratta del Conte de Guiche, uomo potente e tormentato che osteggerà l’amore tra i giovani, invaghitosi anch’egli di Rossana. A un’attenta lettura, emerge dalle pagine come un individuo complesso, guidato da motivazioni profonde e spesso in conflitto con il suo ambiente circostante, mai adeguatamente attenzionato e rappresentato. A prendere in mano la sua storia, per darle nuovo lustro e giusta considerazione, è il romanzo d’esordio di Vittorio Colomba, avvocato e già autore di numerosi testi di carattere scientifico. La sua opera, “Il Conte de Guiche, oltre l’ombra di Cirano” (Gruppo Albatros il Filo, 2023), racconta e svela con sagacia le contraddizioni di un personaggio affascinante, profondamente moderno, tanto vicino al sentire contemporaneo da poter rubare la scena al protagonista e scrivere per sé il proprio finale.

È lo stesso Antoine III de Gramont, Conte de Guiche, a prendere la parola nel romanzo di Colomba. Il nobile, pur riconoscendosi meno abile del Bergerac nel coniugare la penna alla spada, prende le distanze dal suo antagonista, avendo avuto nella sua lunga vita la possibilità di sviluppare grandi abilità e virtù. Se infatti Cirano muore tragicamente in un’imboscata, lasciando inespressa gran parte del suo potenziale, per essere ricordato unicamente come eroe romantico, la sapienza politica e l’astuzia del Conte gli permisero di sposare la nipote del cardinale Richelieu, del quale era già stato lungamente consigliere e alleato: una mossa che gli permise di avvicinarsi ancor di più alla Corona e di diventare il francese più temuto e rispettato d’Europa.

Le vicende narrate da Colomba si legano alla leggendaria opera di Rostand proprio nell’amore per Rossana, spiegato come un guizzo di cupidigia, un tentativo di rompere gli schemi che De Guiche aveva rigidamente tracciato nel corso della sua vita. Il Conte è tuttavia ben consapevole che un coinvolgimento emotivo con la donna avrebbe avuto esiti prevalentemente negativi, non in linea con le sue ambizioni. Sceglie per questo di rimanere nell’ombra, di “trovare una soluzione in chiaroscuro, che attirasse Rossana a me ma che non destasse scalpore e che mi permettesse di attingere a piacimento a quella fonte senza inzaccherarmi le immacolate calzature”, come leggiamo nelle prime pagine.

Ai microfoni di Se Scrivendo, il salotto letterario di CaosFilm, Vittorio Colomba spiega: “Cirano pone di fronte a un dilemma: gli standard troppo elevati a volte anziché ispirare allontanano”. Il protagonista della tragicommedia è infatti tanto integerrimo nei suoi valori, tanto patinato da apparire quasi bidimensionale,archetipico, lontano dal più complesso sentire contemporaneo. Se infatti in una delle scene più emblematiche Cirano aiuta Cristiano ad arrampicarsi sul balcone di Rossana per baciarla, una così cieca tensione al bene assoluto finisce per risultare oggi anacronistica e untuosa. Il Conte de Guiche, nella sua imperfezione, è invece profondamente umano, tanto moderno da parlare alle nostre imperfezioni e quasi strizzare l’occhio ai nostri vizi, con un’onestà che non ricerca indulgenza.

La narrazione in prima persona offre al lettore l’occasione di vestire i panni del Conte e di farsi partecipe dei suoi ragionamenti, delle trame che nell’opera di Rostand non vengono svelate o delle quali si vede soltanto il culmine, la palesata manifestazione. È qui che spicca l’abilità narrativa dell’autore, nella sensibilità di dare voce al pensiero di un personaggio del quale si conosce molto poco e renderlo credibile, vivo, fino a concentrare su di lui gran parte della nostra attenzione di lettori. Tra queste pagine conosciamo l’infanzia del giovane Antoine, gli avi dai quali eredita l’intelletto e l’attitudine al comando, e allo stesso tempo comprendiamo a fondo la sua avversione nei confronti di Cirano, una minaccia della quale tuttavia riesce a scorgere i limiti, riuscendo quasi a prevederne le mosse. Per quanto, infatti, l’eroe cavalleresco cerchi di nasconderle, al Conte de Guiche sono evidenti le insicurezze, le “fragilità mascherate da illusioni” che si celano dietro l’apparente spavalderia.

Da contro, il Conte non teme di mettersi in discussione. Durante un interessante dialogo con Rossana, la quale cerca di indulgere per il suo popolo presso di lui, accoglie le sue motivazioni e le sue preghiere con gentilezza, pur riconoscendo la visione parziale e distorta del mondo che ha la donna. Certo, il suo supporto non sarà gratuito: con un fiuto imprenditoriale che potremmo riconoscere alle personalità più influenti del nostro tempo, è in grado di studiare in pochi istanti il peso del proprio tornaconto, così da poter incarnare “il volto buono della nobiltà” e ottenere al contempo i vantaggi sperati.

Ci fanno sorridere, al tempo stesso, le scaramucce che il Conte volontariamente scatena per infastidire Cirano, bersaglio che tra queste pagine appare fin troppo facile da colpire. Nonostante l’abilità oratoria dello spadaccino riesca infatti a tirarlo fuori vincitore dalle situazioni di imbarazzo, è proprio il De Guiche a infilarcelo volontariamente, senza sbagliare un colpo. Dall’altra parte empatizziamo con la sua vanità delusa quando capisce che Rossana non proverà mai nulla nei suoi confronti, con l’animo morbido che si scorge dietro la dura corazza quando viene a conoscenza di certe disgrazie del popolo che lui stesso aveva contribuito a perpetrare, con le fragilità che gli appartengono e che nonostante la sua austerità non nasconde a sé stesso.

È il finale a sorprenderci maggiormente: il lento processo che nelle prime pagine ci aveva mostrato un Conte arguto, ma spietato, vede sciogliere la sua corazza in moti di pietà e altruismo inaspettati, commoventi. Lontano dalla cieca ostinazione a fare la cosa giusta degli eroi cavallereschi, De Guiche sceglie consapevolmente di mettersi da parte, di optare per delle decisioni che gli recano sofferenza, ma che renderanno felice qualcun altro. La lunga e toccante lettera che conclude il romanzo mette una volta per tutte a confronto l’eroe e l’antieroe, Cirano e De Guiche, sottolineando le divergenze, ma anche le somiglianze tra i due. A conti fatti, Cirano appare come la sagoma di un ideale, un uomo auto-mutilato della propria stessa volontà, in favore di un destino più grande, di una gloria invisibile e forse oltremodo idealizzata. Cirano non si guarda attorno e punta dritto all’obiettivo, Antoine De Guiche al contrario conosce bene i suoi nemici, il mondo e le sue dinamiche, ha una visione periferica che gli permette, anche quando sembra uscire sconfitto, di trionfare su altri fronti.

L’ingegnosa opera di Vittorio Colomba permette dunque al Conte De Guiche di sfuggire finalmente dall’ombra di Cirano, restituisce all’immaginario del lettore un personaggio solido, ormai scollato dal fondale del dramma, profondamente contemporaneo e vicino alla nostra umanità. Un personaggio vivo e presente che sa parlare di noi.

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