Il giorno dopo la morte di una
detenuta in carcere a Bologna, probabilmente un suicidio, il
Consiglio dell'ordine avvocati, che di recente è stato in visita
all'istituto, scrive una lettera-appello alle istituzioni.
"Abbiamo potuto constatare con i nostri occhi - scrive il
presidente Flavio Peccenini in una nota - le condizioni non
dignitose in cui si trovano a vivere oltre 850 detenuti, su una
capienza regolamentare di 500 posti, condizioni che spesso
coinvolgono soggetti affetti da patologie psichiatriche e
tossicodipendenti. Centinaia di esseri umani senza alcun
appoggio esterno, senza speranza di una vita migliore né dentro
né fuori dal carcere". Si parla di una situazione "drammatica"
con detenuti e personale della polizia penitenziaria che "vivono
in condizioni che non sono degne di un paese civile, dove il
principio di rieducazione della pena, voluto dai nostri
costituenti quale fine ultimo della stesa, è niente più che un
miraggio".
Gli avvocati si rivolgono al sindaco "perché sappia che nella
nostra città c'è un luogo dove le vite valgono molto meno di
altri luoghi della stessa città, dove queste vite si spengono,
nel silenzio dei più, semplicemente per mancanza di speranza".
Si chiede anche "che la magistratura vada in carcere, veda
quello che abbiamo visto noi, parli coi detenuti che hanno
parlato con noi".
E poi l'appello è alla politica: "Non c'è più tempo. La
strage nelle nostre carceri è inarrestabile e orrenda, il
sovraffollamento è soverchiante, gli organici inadeguati. Presto
raggiungeremo i numeri di detenuti che portò nel 2013 la Corte
Edu ad infliggere al nostro Paese una umiliante condanna per
trattamenti inumani e degradanti". E allora, "di fronte
all'incapacità dello Stato di assicurare luoghi e dotazioni
adeguate al rispetto dei principi costituzionali e alla dignità
dei detenuti e del personale" parole come "amnistia e indulto"
non possono "più essere considerate eretiche".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA