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Con le icone del Sinai, Bisanzio e l'Africa al Met

Con le icone del Sinai, Bisanzio e l'Africa al Met

Diplomazia culturale all'opera in tempi di guerra

NEW YORK, 14 novembre 2023, 18:10

di Alessandra

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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In un mondo multipolare in subbuglio per le guerre, il Metropolitan Museum of Art ha fatto uno sforzo di diplomazia per portare a New York capolavori vecchi di secoli che raccontano una storia di contatti trasversali tra culture. Aperta dal 19 novembre, la nuova mostra Africa e Bisanzio presenta in 180 oggetti le persistenti tradizioni dell'arte e della cultura bizantina in Tunisia, Egitto, Sudan, Etiopia dal quarto al quindicesimo secolo e oltre. Se il Sudan devastato da mesi di conflitto civile non ha prestato i grandi murali della Cattedrale di Faras sommersa dal Nilo e che avrebbero fatto da pendant a quelli salvati da archeologhi polacchi e dall'Unesco ora a Varsavia, il Monastero greco ortodosso di Santa Caterina nel Sinai ha mandato a New York un manoscritto miniato e quattro preziosissime icone tra cui quella del sesto secolo con la Vergine, il Bambino e la Mano di Dio, una delle più antiche al mondo, realizzata a encausto su legno e forse donata al monastero dall'imperatore Giustiniano quando ordinò di fortificare il sito tra 548 e 565 dopo Cristo.
    L'icona è esposta in parallelo a un arazzo contemporaneo della Vergine in trono prestato dal museo di Cleveland che è partner dell'iniziativa. Aperta fino al 3 marzo, Africa e Bisanzio "rende giustizia, grazie a monumentali affreschi, mosaici, dipinti su legno, gioielli ceramiche e manoscritti miniati, a un'area sottorappresentata della storia dell'arte e finora solo marginalmente studiata", ha detto il direttore del Met, Max Hollein, durante la presentazione alla stampa. Raccogliendo il testimone dalla trilogia del Met sull'arte bizantina (Glory of Byzantium, Bisanzio: Fede e Potere e Bisanzio e Islam), la curatrice Andrea Achi ha messo insieme arte, religione, letteratura, storia e archeologia per puntare i riflettori sulle comunità multiculturali nella regione. L'Egitto, tradizionalmente restio ai prestiti, ha portato per l'occasione a New York, oltre ai pezzi dal Sinai, altri sette oggetti dall'Egyptian Museum di Tahri e dal Coptic Museum.
    "Chi sa quali popoli dell'impero romano erano cosa, visto che tutti sono diventati romani e tutti sono chiamati romani", aveva detto Sant'Agostino alla congregazione di Cartagine nel 416 in una frase che dà il via alla mostra sintetizzando l'unità politica e la diversità culturale dell'impero in epoca tardo antica. La mostra si concentra sui secoli in cui gran parte del Nord Africa era governata da Costantinopoli, per passare poi allo sviluppo dei regni cristiani nel Corno d'Africa tra quarto e settimo secolo e alle diverse tradizioni artistiche e religiose fiorite in Tunisia, Sudan, Egitto e Etiopia tra ottavo e quindicesimo.
    Fede, politica e commercio per terra e per mare legavano queste comunità a Bisanzio. Gli oggetti in mostra coprono quasi duemila anni di storia: tra questi un dipinto su legno attribuito al veneziano Nicolò Brancaleon, pittore attivo alla corte etiope alla fine del Quattrocento, in cui il colore rossastro della pelle della Madonna è associato a tratti dei volto derivati dalla tradizione pittorica italiana. 
   

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