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“L’anima nel bicchiere”, il viaggio del pensiero di una mente senza corpo

PressRelease

“L’anima nel bicchiere”, il viaggio del pensiero di una mente senza corpo

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Responsabilità editoriale di NEW LIFE BOOK

Il racconto filosofico di Arrigo Fava del Piano che indaga la mente e l’anima

30 dicembre 2023, 17:06

NEW LIFE BOOK

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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PressRelease - Responsabilità editoriale di NEW LIFE BOOK

“L’anima nel bicchiere”, pubblicato dal Gruppo Albatros Il Filo, è un’opera unica nel suo genere: un racconto che ha come protagonista un cervello in un vaso di vetro, appena espiantato dalla vittima di un incidente e destinato al trapianto in un paziente in attesa. Una situazione immaginaria raccontata proprio dal punto di vista di quel cervello: ipotizzando una realtà in cui la coscienza dell’individuo possa esistere anche separata dal suo corpo, conservata unicamente dalla sua mente, Arrigo Fava del Piano dà voce al suo protagonista che, non avendo più alcun modo per interagire con il mondo circostante di cui però mantiene la percezione, non può far altro che riflettere.

La narrazione è composta interamente da un flusso di pensieri ininterrotto, rapido e vivace, adatto alla necessità del cervello di riuscire a mettere in ordine le idee prima dell’imminente trapianto, cercando risposte per provare a elaborare ciò che gli capiterà.

Chi sono io? La coscienza appartiene alla mente o all’anima? Il sentiero del ragionamento del protagonista si snoda velocemente attraverso molteplici domande esistenziali e nasce dalla paura di essere trapiantato nel corpo di un altro individuo: che fine farebbe in quel caso la sua coscienza, lui continuerebbe a esistere o verrebbe “sovrascritto” dal corpo ospite?

“Il cervello è una macchina”, racconta l’autore, “tutto l’essere umano è una macchina”: spiega che il cervello è stato mappato individuando le aree destinate a ciascuna funzione e che le emozioni sono prodotte e controllate dal “cervello arcaico”, che non ha subito praticamente alcun cambiamento evolutivo dalla nascita dell’uomo. Anche la memoria è stata identificata in una proteina situata nell’ippocampo, e quello che viene a volte definito “sesto senso”, l’istinto che prescinde la logica e ci mette in guardia dal pericolo, ha una base biologica e risiede nella corteccia cerebrale anteriore. “Tutto, dunque, è già scritto? Tutto è frutto della casualità, del semplice incontro di determinati elementi e della successiva evoluzione?”, si domanda il protagonista di questo raccordo, “dobbiamo rassegnarci alla conclusione che tutto è illusorio, la nostra libertà, la nostra identità, la nostra stessa esistenza? Dobbiamo rassegnarci, infine, alla conclusione che siamo solo granelli di polvere, di passaggio nell’universo, e che con la morte tutto si annulla, tutto cessa di esistere e l’io sparisce? Che la nostra vita terrene non sia che un evento biologico, privo di alcun significato soggettivo?”

Seppur queste domande possano essere contemplate filosoficamente per una vita intera senza comunque giungere a una risposta convincente, il protagonista di “L’anima in un bicchiere” ha ben poco tempo per porsi questi interrogativi. Questa impellenza che permea il suo pensiero dà un ritmo veloce all’opera, seppur non frettoloso, alleggerendo la riflessione sugli argomenti in analisi con tono vivace. Ne risulta un’opera contemporaneamente scorrevole e profondamente riflessiva, il racconto brillante di un cervello che senza il suo corpo interroga filosoficamente la realtà per il tempo che ha a disposizione.

Interrogandosi sull’anima, il protagonista pone sui due piatti della bilancia le prove scientifiche che negano l’esistenza di una diversa forma di esistenza e ciò che invece la scienza non è riuscita a dimostrare al riguardo, interrogandosi puoi inevitabilmente sul concetto della morte. Non potendo avere nessun confronto, nessuna conferma o alcun parere contrario, il cervello non può che cercare di trarre le sue conclusioni con le informazioni che ha, risalendo alle origini ma senza potersi permettere di soffermarsi troppo: in poche pagine le domande che pone a se stesso si fanno più articolate e specifiche, arrivando ad affrontare argomenti come la bioetica, l’intelligenza artificiale e i concetti di religione e fede in antitesi. “La fede, dicono i credenti, è l’unico mezzo per raggiungere quello che la ragione non può dimostrare”, spiega il protagonista dell’opera, affermando di aver sempre pensato che quella fosse una contraddizione in termini: credere in qualcosa che non è comprensibile non significa forse rinnegare la ragione, definita dalla Chiesa stessa come il dono divino? “Ho sempre amato il mio prossimo” prosegue poi “ma, come dicevo prima, i riti religiosi e le stanche parole degli officianti non mi dicono più nulla, non stimolano in me alcun sentimento. Del resto, se non riesco (se non posso riuscire) a dimostrare l’esistenza di un’anima eterea, di un’altra vita, posso solo cercare di capire chi sono, cosa sono, se solo una macchina o qualcosa di più, se ogni essere vivente che ha coscienza di sé può essere in qualche misura artefice della propria identità o se questa è frutto solo di casualità, se l’anima non è altro che una funzione del cervello.”

Arrigo Fava del Piano dimostra una notevole raffinatezza narrativa conducendo i suoi lettori in un percorso di pura astrazione intellettuale con leggerezza ed eloquenza, senza mai risultare incomprensibile ma anzi, sempre mantenendo un linguaggio semplice e composto anche analizzando concetti quali l’inizio e la fine, il “cogito ergo sum” di Descartes, il significato delle emozioni e il senso del divino. “L’anima nel bicchiere” è sia un racconto che un breve saggio psicologico sull’anima e la coscienza, stimolante e incisivo, riesce a tenere alta l’attenzione che cattura immediatamente

Seppure affermi che non esista alcuna speculazione che possa portarci alla benché minima ipotesi sull’esistenza di un’anima ultraterrena, la ricerca interiore di risposte del protagonista non evidenzia neanche una prova definitiva del contrario: dunque non è possibile escludere nulla, nemmeno l’ipotesi che una forma di energia immateriale e individuale possa sopravvivere separatamente dal suo corpo. Ipotizzando che la mente e il corpo non siano indipendenti, infine il protagonista si chiede cosa ne sarà di lui dopo il trapianto. Chi prevarrebbe tra corpo e cervello?

La risposta a cui giunge al termine del suo flusso di pensieri è che, alla fine di tutto quel ragionare, l’unica conclusione che si po' raggiungere è che non possa esserci una conclusione; ma è proprio questa la natura la natura della filosofia, quella di interrogare, non di rispondere. Delle risposte si occupano scienza e religione, ma per tutti i quesiti per cui nessun altro abbia gli strumenti di indagine, spetta al filosofo domandarne l’origine e il significato. Non importano dunque le riposte che si ottengono: ciò che è prezioso è l’invito al pensiero inquisitivo sulla realtà circostante racchiuso nell’opera ed esposto elegantemente dall’autore, che in meno di cinquanta pagine è riuscito a raccogliere e presentare innumerevoli riflessioni interessanti. Per questo “L’anima nel bicchiere” risulta una lettura sorprendente e positivamente inusuale, capace di tenere il lettore incollato al costante accavallarsi di affascinanti ipotesi e deduzioni che di capitolo in capitolo si articolano in argomenti sempre più specifici e stimolanti.

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