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La parola della settimana è panico (di Massimo Sebastiani)

Redazione ANSA

Nel 2011, a distanza di pochi mesi, uscirono ben quattro film che avevano come filo conduttore l’idea della fine del mondo e ben tre di questi avevano al centro l’idea del virus. Uno era Contagion di Steven Soderbergh di cui avete ascoltato alcuni momenti tratti dal trailer che fu preparato per il lancio del film in Italia.

La psicologia ci ha spiegato che non bisogna avere paura della paura, che è una delle nostre emozioni primarie e che si è insediata nel nostro DNA per permetterci di reagire a situazioni di pericolo. E anche in questo caso ci è venuto in soccorso il cinema col delizioso Inside Out il film educational della Disney che nel 2015 raccontava con gli effetti speciali della Pixar le emozioni di una ragazzina di undici anni del Minnesota.

Ascolta "La parola della settimana: panico (di Massimo Sebastiani)" su Spreaker.

 

Ma il panico, quello di cui si parla tanto in questi giorni, quello cui ci è stato ripetutamente chiesto di non cedere anche dalle più alte cariche dello Stato oltre che da esperti e specialisti, sembra essere qualcosa di diverso dalla semplice paura. "La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto", ha scritto Howard Phillips Lovecraft, scrittore e saggista considerato, insieme a Edgar Allan Poe, tra gli iniziatori del genere horror nonché papà letterario di Stephen King. In effetti una delle chiavi del panico sembra essere proprio questa, l’ignoto: come è ignoto, o almeno lo era fino a poco fa, il virus Covid-19, e ignota ancora oggi l’origine esatta della sua diffusione nel paese da cui proviene, la Cina, ma anche per esempio in Italia, con la caccia al cosiddetto paziente zero. Il panico sembra essere strettamente legato all’idea del contagio che non si riesce a decifrare e che è così faticoso da contenere.

Che poi è l’idea che sta anche alla base del film Contagion e che il regista Soderbergh ha risolto, se così si può dire, con un riferimento alla fragilità e alla debolezza umana: in quel caso il paziente 1 è un amante che ovviamente non si può dichiarare. Forse non è un caso che in pochi giorni il film sia stato tra i 10 più noleggiati o acquistati su I Tunes. Ma cosa lega il panico all’ignoto? L’etimologia e un libro di una psico-star che ha avuto un certo successo anche al di fuori della cerchia degli specialisti, ci aiutano a rispondere. La parola deriva da Pan, un semidio, e quindi una figura di mezzo – elemento non secondario -, per di più metà uomo e metà capra, di genitori incerti (per alcuni Driope, la madre che lo rifiutò, e Hermes per altri addirittura Zeus e Penelope) e legato alla natura nel suo lato però meno tranquillo e bucolico: è il dio delle grotte, del mistero, delle selve oscure e anche il dio dell’eccitazione sessuale continua, animalesca, perfino minacciosa. Deriva da lui infatti anche il termine ninfomania: la sua passione smodata per le Ninfe che costringeva al sesso con la violenza. Una di loro per sfuggirgli si trasformò in una canna che suonava al vento, da qui il nome di flauto di Pan dato ad uno strumento a canne multiple usato per esempio nella musica andina e che compare anche in un quadro di Pablo Picasso.

Il suo nome deriva dal greco paein che significa pascolare. Il suo aspetto e anche il verso che emette sono grotteschi, mostruosi, agghiaccianti. Da qui lo spavento che incute. Anche se tra le sue molte trasformazioni c’è quella, non certo spaventosa ma comunque inquietante, di Peter Pan, il personaggio creato dallo scozzese James Matthew Barrie che è suprema incarnazione letteraria di una figura di mezzo: uomo e bambino, civile (nasce nei giardini di Kensigton) e primitivo, reale e fantasmagorico. E, naturalmente, con le orecchie a punta. Ma il panico è anche qualcosa di più: l’espressione timor panico indica quello smarrimento sottile e indefinibile che avvertiamo quando ci troviamo, soli, in mezzo ad una natura sovrastante: parliamo di forza panica e anche di un senso panico della natura. Mentre l’ora panica è quella calda, assolata, silenziosa degli ipnotici pomeriggi estivi. James Hillman, la psico-star cui abbiamo accennato prima, nel suo Saggio su Pan scrive che i veri termini per comprendere il panico sono mitologici, non sociologici o psicologici: ‘il panico – scrive – non sarebbe più considerato un meccanismo psicologico di difesa ma la giusta risposta al numinoso’, cioè ad un elemento sacrale, superiore, sovrastante. ‘Il panico – sottolinea Hillman – esisterà sempre perché è radicato nella natura umana come tale’.

E quel legame con Pan e il timor panico era stato già recuperato da Freud come ‘interruzione dei legami sociali’. Un sentimento che ritorna anche nella situazione dell’attacco di panico: episodio apparentemente improvviso (che ha in realtà una causa scatenante), di durata piuttosto breve ma caratterizzato da paura, apprensione e senso di catastrofe imminente tanto da indurre chi lo subisce a credere anche alla possibilità di morire. E’, spiegano gli specialisti, uno stare in mezzo, proprio come Pan, sospesi, bloccati, senza poter né entrare né uscire e senza riuscire a fare delle scelte. Ma per tornare a Freud, quello di cui parla il fondatore della psicoanalisi in Psicologia delle masse e analisi dell’io, è il panico della massa contrapposto alla razionalità del singolo individuo.

E’ appena il caso di ricordare che tra i ragazzi è piuttosto in uso l’espressione ‘c’è il panico’ per dire che c’è una moltitudine, c’è il caos. Di panico di massa abbiamo avuto esempi nella realtà e nella letteratura ispirata alla realtà: dalla tragedia di piazza San Carlo a Torino la sera del 3 giugno 2017 in occasione della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid, in cui morirono tre persone, risalendo fino alle pagine dei Promessi Sposi citate in una luminosa lettera ai suoi studenti dal preside del liceo Volta di Milano Domenico Squillace che invita i ragazzi a fare appello alla risorsa più grande che abbiamo saputo creare in 2000 anni, la razionalità.

In quelle pagine, scrive Squillace ‘c’è già tutto, la certezza della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per gli esperti, la caccia agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più assurdi, la razzia dei beni di prima necessità, l’emergenza sanitaria’. Anche perché, suggeriscono i Coldplay in una canzone sommessa e ottimista, che guarda caso si intitola Don’t panic, il mondo è un posto meraviglioso e c’è sempre qualcuno a cui potersi appoggiare.

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