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La parola della settimana (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana (di Massimo Sebastiani)

03 novembre 2022, 19:21

Redazione ANSA

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La parola della settimana (di Massimo Sebastiani) - RIPRODUZIONE RISERVATA

La parola della settimana  (di Massimo Sebastiani) - RIPRODUZIONE RISERVATA
La parola della settimana (di Massimo Sebastiani) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il corpo non è mai soltanto corpo. E’ uno strano destino, questo, per una parola che, secondo la definizione certificata dalla Treccani, significa “porzione limitata di materia che occupa uno spazio”. C’è il limite, c’è, soprattutto, la materia, che sembra essere l’elemento qualificante dei corpi, e c’è lo spazio.

Eppure, da un lato, come abbiamo visto già nella prima puntata, il corpo riflette anche sofferenza e dolore (non solo corporale), è simbologia di qualcosa, è addirittura, per qualcuno, ragione e verità; dall’altro, corpo è un termine che viene usato tanto nel linguaggio comune e, si dice, ‘per estensione e in modo coerente’, ma in realtà molti modi di dire ed espressioni rimandano a qualcosa che difficilmente si potrebbe coerentemente circoscrivere ad un elemento materiale e ad uno spazio definito. Gli stessi ‘corpi intermedi’, l’espressione usata da Giorgia Meloni da cui siamo partiti per questo viaggio nella parola ‘corpo’, sono associazioni di una pluralità di individui che hanno un valore (il valore che anche la presidente del Consiglio ha voluto riconoscere parlandone dal palco della Coldiretti a Milano) che va ben oltre il singolo corpo o la somma dei corpi di chi quell’associazione compone (a parte il fatto che faremmo fatica a pensare un’associazione, un’istituzione o un gruppo, semplicemente come un corpo, secondo la definizione citata prima: basti pensare al corpo elettorale, al corpo docente, ai corpi militari). D’altra parte, l’ambiguità della parola corpo, e la complessità del dibattito secolare, intellettuale e non solo, su quella espressione, è evidente fin dall’etimologia. Il latino corpus, da cui la nostra parola discende (ma anche quella francese, spagnola, portoghese, irlandese, e almeno una tedesca), deriva dalla radice indoeuropea germanica kar, che significa fare, comporre e a cui si lega l’armeno kerp che sta per forma, immagine; e il sanscrito karp significa bellezza, aspetto, il greco kraino significa creare, comporre.

Dietro l’aspetto o la bellezza certamente balena la materia ma essi stessi non sono materia. Forse per questo Paul Valery, scrittore poeta e saggista francese vissuto tra la fine dell’ ‘800 e la prima metà del ‘900, aveva definito il corpo nei suoi Quaderni, una stranezza, un mistero, un enigma.

‘E’ una bizzarra figura piena di forme bizzarre che per lo più ci sono incomprensibili’, ricorda Franco Rella in un libro intitolato ‘Ai confini del corpo’ parlando di Valery. ‘In che linguaggio - si chiede Valery - traduciamo ciò che esso è?’ Valery ne faceva una questione di linguaggio pensando ovviamente all’idea e al concetto di corpo. Più o meno negli stessi anni, la filosofia, che per secoli si era dibattuta tra due concezioni del corpo, una solo negativa come prigione dell’anima e l’altra che tendeva a mettere in relazione corpo e anima pur mantenendo la preminenza della seconda sul primo, era giuntA, attraverso la riflessione della fenomenologia di Husserl e poi dell’esistenzialismo, ad una idea diversa: il corpo definito come ‘esperienza vivente’.

Tanto che la lingua tedesca usa due parole per dare conto di questa ambiguità, ricca e feconda, del corpo: Koerper, cioè la famosa porzione fisica di materia per lo più inerte, e Leib, ovvero il corpo vissuto. Se il corpo fosse solo materia bruta perché due delle religioni più importanti del mondo ne considererebbero la resurrezione? E cioè non una semplice riapparizione ma un vero e proprio ritorno fisico e materiale, da sentire e toccare oltre che vedere.

La resurrezione è una delle idee più rivoluzionarie e più dimenticate del cristianesimo ma era molto presente a Dante Alighieri che la canta addirittura nel Paradiso, nel Canto XIV quando perfino i santi, ridotti a fiammelle eterne, esprimono il desiderio dei loro corpi morti e non tanto per loro ma per i loro cari, a cominciare dalle mamme. Un’idea viva, vitale e, perché no, santa del corpo che arriva fino a noi anche con la bizzarria del ‘Baratto’ di Renato Zero in cui l’amore è (anche) scambio di parti del corpo.

 

 

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