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La parola della settimana: 'Margine' (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana: 'Margine' (di Massimo Sebastiani)

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25 marzo 2022, 16:18

Redazione ANSA

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fumetto per la parola - Margine - RIPRODUZIONE RISERVATA

fumetto per la parola - Margine - RIPRODUZIONE RISERVATA
fumetto per la parola - Margine - RIPRODUZIONE RISERVATA

Margine è una parola ricchissima e articolata, vedremo poi come e quanto, ma è una di quelle – ne abbiamo già incontrate: crisi, per esempio – che sconta il significato più comune, quello prevalente, che finisce per farle perdere la ricchezza e i vari significati che nonostante tutto le risuonano ancora dentro. Tanto che anche in uno dei modi di dire che usiamo di più (lo fanno soprattutto i giornalisti) balena subito una certa ambiguità, anzi sembra proprio che la parola faccia una bella capriola. Spesso sentiamo dire o leggiamo che qualcuno ha detto o fatto qualcosa a margine di un incontro, di un convegno, di un vertice, di un evento.

Cha cosa significa? E’ chiaramente un modo per indicare che l’avvenimento centrale era un altro ma, a margine di questo, fuori da questo, di lato, o prima o dopo, è successo anche qualcos’altro. Il mondo del giornalismo è stato ed è pieno di capiservizio o capiredattori che mandano un collega a coprire, come si dice, un avvenimento intimandogli: ‘Del convegno non ci interessa nulla, prendi solo gli ‘a margine’’. Il motivo è che il centro apparente della questione è in realtà poco interessante ma le dichiarazioni che si possono ricavare da questo o quell’altro personaggio, a margine, lo sono molto di più. Quei capiredattori, anche se molto probabilmente non lo sanno, sono figli illegittimi di un filosofo, Jacques Derrida, di cui torniamo a parlare presto. E in fondo l’ironia amara di Renato Zero, che nella canzone ‘L’altra sponda’, canta la marginalità, vuole forse far riferimento alla stessa cosa. [ ] II queste settimane, soprattutto negli ultimi giorni, negli estenuanti stop and go del negoziato tra russi e ucraini, abbiamo sentito parlare di spiraglio (che guarda caso rimanda alla radice della parola spirito, di cui ci siamo occupati, perché fa riferimento alla respirazione, al soffio vitale) ma molto spesso anche di margine. In generale, per riferirsi alla possibilità di una soluzione: c’è un margine di trattativa, cioè, per quanto piccola, c’è la possibilità che le cose vadano in un modo diverso da quello, drammatico, in cui sembra che stiano andando. Ma c’è anche il margine di ambiguità e il margine di errore, che può provocare danni seri, ma anche il margine di manovra. L’idea è che si parli di spazi piccoli ma estremamente preziosi che possono dare avvio alla conquista di spazi diversi e molto più ampi. Per non parlare del margine operativo, un indicatore di redditività che invece definisce sì una porzione, grosso modo la differenza tra ricavi e costi, ma che può essere anche molto larga e dare ad un’azienda, e ai suoi soci e/o azionisti, una ricchezza straordinaria. Tanto è vero che se cerchiamo in un qualunque dizionario le parole che indicano il contrario di margine, la prima cosa che ci viene indicata è centro o cuore ma subito dopo ci sono espressioni come perdita, scapito o disavanzo. Margine è una parola appartenente ad un gruppo che fa capo ad una radice indoeuropea, merg-, che ha il significato di confine, una parola altrettanto ricca e di cui ci siamo già occupati in cui prevale l’idea di limite. Si va, come spiegano i curatori del sito Una parola al giorno, dall’antico irlandese mruig, ‘terra’, ‘paese di frontiera’, al persiano marz ‘regione’.

E i marzban persiani, comandanti protettori dei confini dell’impero Sasanide, sembrano molto simili ai marchesi nostrani, ai margravi germanici, signori delle marche, cioè una nobiltà con responsabilità e potere di frontiera. Dall’alto germanico marka, che sembrerebbe derivare da marg- con significato di strisciare e tirare linee, deriva il marchio e il marcare. Questo bordo però, come abbiamo già visto e capito, non è solo la fine di una superficie ma uno spazio, che pur non occupando il centro della vicenda e anzi proprio per questo, può portarci in un altrove, aprirci dei varchi. Ma lo fa solo perché non è più la cosa che era fino ad un certo punto: il margine di un tessuto si sfilaccia e dunque cambia, i margini di una pagina sono bianchi, al di là del testo. Stare lontani dal cuore di una cosa e stare su una frontiera, una marca, sono cose ben diverse, sottolineano i ‘guerrieri delle parole’ di Una parola al giorno. E allora dedichiamo la conclusione, un po’ più lunga del solito, a quello che, se non suonasse un po’ irriverente, potremmo definire ‘il re del margine’, come di certi locali si dice che sono ‘il re della carbonara’ o ‘il re del supplì’ (perché li fanno meglio e li valorizzano). Jacques Derrida, filosofo francese scomparso nel 2004, era un tipo che intitolava i libri Passioni, Sproni e appunto Margini. Era nato nel 1930 a El-Biar, al margine di Algeri potremmo dire, da famiglia ebraica. Dopo varie vicissitudine scolastiche, dovute sia al fatto di essere ebreo sia ad una certa propensione all’indisciplina, si trasferisce a Parigi a 19 anni ed entra, al terzo tentativo, all’Ecole normale superieure. Margini, considerato uno dei suoi testi fondamentali, in cui viene elaborato il concetto di ‘differenza’, ha l’intero primo capitolo, tanto per essere subito chiari, con i margini non bianchi ma occupati da un altro testo tratto da un libro, Biffures, termine intraducibile con cui è intitolato uno dei quattro volumi della Regola del gioco, un’opera di Michel Leiris, surrealista diventato etnologo e soprattutto ‘disarticolatore del linguaggio’. Per Derrida il margine è sia una sospensione, un luogo non definito, sia lo spazio dal quale ci si può sporgere e vedere o ri-vedere in modo diverso la storia del pensiero. ‘Il mistero – si legge nel testo di Leiris affiancato a quello di Derrida - . . . può essere rappresentato come un margine, una frangia che circonda di un alone l'oggetto, isolandolo nel momento stesso in cui ne mette in rilievo la presenza’. Insomma, una cosa tutt’altro che marginale. Come la ricchezza (d’animo, di spirito) delle anime salve cantate da Fabrizio De Andrè in particolare in Korakhanè, la canzone di quell’album in cui più si sente la presenza del coautore, Ivano Fossati.

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