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La parola della settimana è Sardina

di Massimo Sebastiani

Il ’68 italiano è stato molte cose. Una di queste, in un’epoca di cambiamenti soprattutto sociali, ha riguardato anche alcuni oggetti diventati di uso comune e presentati da pubblicità innovative. Il ciclomotore Ciao, come ha scritto qualcuno, è stato il nostro Solex: essenziale, spartano ma a suo modo elegante, perfetto per rappresentare la voglia di autonomia e di libertà dei più giovani (‘Piaggio cambia il mondo in due ruote’), mentre le automobili si diffondevano - siamo negli anni che precedono la crisi petrolifera e le domeniche di austerity –e con esse cominciava a diventare centrale anche il problema del traffico e dell’inquinamento. Per questo le campagne pubblicitarie della Piaggio firmate da Gilberto Filippetti risultarono anticipatrici e geniali e certamente decisive nel rinnovare il linguaggio stesso della pubblicità. Sua è la celebre ‘Chi Vespa mangia le mele’, creata per il prodotto ancora oggi più celebre della Piaggio. Ma fu per Ciao che Filippetti creò l’espressione ‘sardomobili’ per indicare la situazione di costrizione di chi doveva usare piccole utilitarie con cui poi rimanere incastrato nel traffico, immaginando che quelle persone fossero come sardine circondate di lamiera senza spazio vitale per muoversi e senza vie di uscita, proprio il contrario della possibilità offerta da un agile ciclomotore. "Le sardomobili hanno cieli di latta. Liberi chi Ciao" oppure “Le sardomobili hanno musi lunghi. Bella chi Ciao” erano due dei claim ideati per la campagna pubblicitaria del Ciao che d un lato richiamava la struttura sintatticamente scorretta di Chi Vespa mangia le mele e dall’altro faceva riferimento, neanche tanto indirettamente, anche a Bella Ciao che, come dimostrano anche polemiche recenti, non ha mai smesso di suscitare passioni contrapposte.

Cinquant’anni dopo però per le sardine è tutta un’altra storia. Superata l’ansia da traffico anche grazie alle dimensioni interne della auto, molto cresciute nel frattempo, le sardine hanno conosciuto una nuova stagione di ‘immagine pubblica’ se così si può dire. A collocare diversamente questa specie di pesce azzurro nell’immaginario collettivo ci hanno probabilmente pensato la dieta mediterranea e l’evoluzione, ancora in corso, verso una cucina più sostenibile, con la riscoperta dei prodotti del territorio, anche marino, e dei cibi cosiddetti poveri. E’ appena il caso di ricordare che la sardina prende il suo nome dalla Sardegna, le cui acque nell’antichità erano particolarmente ricche di questo pesce. E il nome, non a caso, rimane praticamente lo stesso in tutte le lingue, segno di una unica provenienza (sardine in inglese, sardina in spagnolo, sardine in francese). Identico etimo anche per sardonico, dal latino risussardonicus, cioè il riso indotto da un ‘erba velenosa chiamata sardonia che cresceva per l’appunto i Sardegna.
Insieme ai vari cugini, le più piccole alici e o i più grandi sgombri, le sardine hanno poco mercurio, contengono grassi buoni, sono consigliate da dietologi e cardiologi, e il loro consumo ha uno scarso impatto ambientale. Insomma non stupisce che ai quattro amici bolognesi, in una notte buia e tempestosa, come già vuole la leggenda, sia venuto in mente di chiamarsi sardine per indicare una moltitudine che non sarà ricca e rumorosa ma vuole presentarsi tutta insieme, in gran numero e farsi sentire anche a costo di stare stretta in una piazza. L’invito, per quel 14 novembre, infatti recitavacosì: “Nessuna bandiera, nessun partito, nessun insulto. Crea la tua sardina e partecipa alla prima rivoluzione ittica della storia".
Insomma, il concetto di sardomobilequi è stato completamente ribaltato: stiamo stretti per scelta, stiamo tutti appiccicati per far vedere che siamo tanti e che per entrare in una grande piazza dobbiamo stringerci. Le sardine a cui hanno pensato i giovani bolognesi appena un mese fa sono insomma pesci che vivono in branco perché questa combinazione permette loro di difendersi, proteggersi e affrontare i nemici. Fanno pensare alle comunità razionali di cui ha parlato di recente Stephen Pinker, professore di psicologia cognitiva Harvard e saggista di successo, nel libo Illuminismo adesso: “Quando prendono forma, comunità ampie e connesse possono escogitare modi di organizzare le loro attività che operano a reciproco vantaggio dei loro membri”. Altro che sardomobili.

 

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