(di Marzia Apice)
RAFFAELLA BATTAGLINI, MENTRE PASSIAMO
BRUCIANDO (Castelvecchi, pp.240, 17.50 euro). La politica e il
vento del cambiamento, l'emancipazione femminile e la libertà,
la scelta tragica delle armi e i sogni che si infrangono, ma
anche la storia di un omicidio e gli umori di un'Italia ormai
sparita, di 50 anni fa: è un romanzo che ha tante anime quello
di Raffaella Battaglini, dal titolo "Mentre passiamo bruciando",
in libreria con Castelvecchi dal 17 giugno. Strutturato come un
racconto a più voci, il libro, ambientato in una città di
provincia del nord (identificabile con Padova), delinea il
periodo della contestazione giovanile prendendo come pretesto
l'omicidio di una donna per offrire un affresco - politico,
sociale ed emotivo - degli anni '70. Una serie di
"testimonianze", spesso discordanti, portano alla ricostruzione
del delitto della giovane Laura, avvenuto nel 1981, quindi a
chiusura del famoso decennio: mentre una giornalista conduce
molti anni dopo un'indagine per scoprire qualcosa in più
sull'omicidio, tra le pagine si ricompone il mosaico di quel
periodo, con il movimento giovanile composto da gruppi
eterogenei, quelli dell'Autonomia diffusa e la lotta armata, i
segmenti più libertari e "controculturali". In sottofondo, ma in
modo costante, emerge un senso di nostalgia e di rimpianto per
quello che sarebbe potuto essere e invece non è stato: una
rivoluzione mai avvenuta fino in fondo, a cui poi la scelta
delle armi ha dato il colpo di grazia. "Sono parte di questa
storia: nel '77 avevo 20 anni. Volevo scrivere l'autobiografia
di una generazione, la mia", dice Raffaella Battaglini
intervistata dall'ANSA, "eravamo giovani e abbiamo cercato di
cambiare il mondo, magari in modo goffo, ma ci abbiamo provato.
Qui ho voluto esprimere la nostalgia di un tempo eccezionale,
avevamo un orizzonte collettivo che riscattava il nostro
privato: eravamo convinti di fare la rivoluzione, ma non eravamo
sufficientemente forti". L'autrice sottolinea anche la volontà
di offrire un altro punto di vista sugli anni '70: "ho cercato
di cancellare la lugubre etichetta 'anni di piombo' inflitta a
quel periodo come uno stigma: noi abbiamo vissuto un'altra cosa;
poi è vero, c'è stata la deriva delle armi, ma volevamo
liberarci da una sensazione, angusta, provinciale, in cui la
sessualità era repressa, la socialità era incasellata,
l'istruzione era gerarchizzata", racconta, "io ero militante in
un collettivo femminista in cui sono entrata nel 76-77. Ero
dentro questo grande e variegato fermento di liberazione: poi
una parte ha appoggiato la deriva militare che ha portato al
disastro. Sono stati fatti errori molto gravi, i morti ci sono
stati da entrambe le parti". Tra gli aspetti più interessanti
del romanzo è il racconto del maschilismo imperante tra i
militanti: un argomento forse poco noto, che l'autrice ha
evidenziato con forza. "All'epoca il maschilismo era argomento
di dibattito, ma noi donne lo subivamo, era difficile far
diventare le nostre relazioni libere come avremmo voluto",
afferma, "Non ne parla nessuno, ma negli anni '70 la liberazione
sessuale nascondeva una evidente predatorietà maschile. C'erano
retaggi molto forti e ci sono ancora oggi: la verità è che il
nostro politico era più avanti del nostro privato". Anche la
scelta della struttura narrativa a più voci risponde a una
precisa esigenza: "per un'autobiografia collettiva era
strutturale che io dovessi scegliere un coro di voci narranti:
volevo tentare di dare l'idea dell'enorme ampiezza di aspetti
che componevano questo caleidoscopio", spiega ancora Battaglini,
"tra le testimonianze, alcune sono racconti, altre sono piccole
schegge. Poi c'è la trama gialla, che costituisce il filo
conduttore narrativo per dare unità all'insieme. La figura di
Laura è ricalcata su una mia amica che per fortuna non è stata
ammazzata, ma aveva comportamenti estremi, da lei ho preso
spunto. Anche la vittima è una figura simbolica: lei rappresenta
gli anni '70 e quando muore diviene emblema della fine di
un'epoca".
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