Arrivano spesso dal mare, gonfie
di dolore, e finiscono sulla strada. Decine di migliaia di
ragazze che un fantomatico "spirito" Voodoo lega per sempre ai
loro sfruttatori: sembra assurdo che in pieno Terzo Millennio,
un rito ancestrale possa distruggere delle vite. Perché Oriri,
che nella lingua Bini significa "spiriti, incubi", è un viaggio
perverso che nasce dalla miseria e dall'ignoranza, ma che
diventa malefico nel cosiddetto mondo occidentalizzato. Il
fotografo Francesco Bellina ha raccolto le tracce di Oriri, le
ha cucite insieme ed è ritornato da dove tutto ha inizio, in
Nigeria. Il suo lavoro è iniziato nel 2016 ed è andato avanti
per quattro anni: la mostra fotografica inaugurata ieri a
Palermo, a Palazzo Sant'Elia - che la ospita fino al 23 ottobre
- è il racconto di un progetto che è diventato qualcosa di più,
denuncia, urlo, carezza, forse anche desiderio di rinascita.
Oriri, curato da Luca Santese (fotografo monzese, fondatore di
Cesura), racchiude immagini forti, scatti importanti ma
stranamente "belli", inducono a pensare senza giudicare, senza
cercare un retro pensiero in questo momento assolutamente
inutile, non necessario.
La mostra fotografica è stata costruita tra il 2016 e il
2020 grazie al supporto del Comune di Palermo, della Fondazione
Sant'Elia, della Fondazione Sicilia e di Arci Porco Rosso.
"Palermo è sempre stata accoglienza, integrazione, futuro - dice
il sindaco Leoluca Orlando -; il lavoro di Francesco Bellina
riannoda fili che partono da lontano ma giungono fino a noi. La
mostra a Sant'Elia fa parte di un progetto sfaccettato
sull'Africa che passa attraverso tradizioni, costumi, gioielli,
pittura ma anche il racconto di realtà terribili da condannare.
E Palermo condanna in spirito di solidarietà con le vittime ed
accoglie in spirito di fraternità, libertà ed eguaglianza. Ed
accoglie".
"È cruciale, in questo momento storico, continuare a
riflettere su come il corpo della donna sia spesso oggetto di
ogni tipo di violenza fisica e psicologica. Fondazione Sicilia -
afferma il presidente, Raffaele Bonsignore - si è già occupata
del tema, affrontando il fenomeno del body shaming. Oggi aiuta a
mettere in luce un altro aspetto legato alla donna e al suo
corpo. Oriri significa incubo: speriamo che, attraverso la
conoscenza di questi fenomeni e il contributo della società,
questa parola venga sostituita da "libertà".
Tutto parte gettando uno sguardo all'indietro: Francesco
Bellina avvia il suo viaggio fotografico da Palermo, dove
abitano alcune protagoniste schiave della Tratta, e ripercorre
il tragitto infernale sui barconi che trasportano le donne dalle
coste libiche all'Italia. Ancora indietro: al deserto del Niger,
all'arida regione del Sahel, crocevia di quasi tutti i traffici
di esseri umani, fino alle chiese del Ghana, luoghi di preghiera
e di speranza, in contrasto con il Benin, dove il Voodoo è la
religione ufficiale. Bellina arriva in Nigeria e si ferma: è nel
Paese natale di quasi tutte le vittime della Tratta ma anche il
luogo da cui poter ricominciare una nuova vita.
La Nigeria risulta ancora oggi come il Paese con il maggior
numero di vittime identificate della Tratta in almeno 36 diversi
Stati, in gran parte europei. Del legame religioso e rituale tra
le vittime della Tratta e gli sfruttatori, poco o nulla si sa:
"Oriri" indica la suggestione di uno spirito che obbliga allo
sfruttamento sessuale, con pena la stessa vita, suggella il
legame delle donne al destino di schiave sessuali, sia durante
il lungo viaggio che nella loro vita futura, una volta arrivate
in Europa.
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