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In collaborazione con Università di Bari
Da uno studio dei ricercatori
dell'Università di Bari Aldo Moro, del Lieber Institute of Brain
Development (Baltimora) e del Tri-institutional Center for
Translational Research in Neuroimaging and Data Science
(Atlanta) potrebbe esserci una svolta nella comprensione del
rischio genetico e clinico per la schizofrenia. Lo annuncia
l'Università di Bari.
"Analizzando i dati di 9.236 individui in diverse fasce di
età - spiegano i ricercatori - dall'infanzia all'età adulta, lo
studio ha rivelato che le alterazioni delle connessioni
cerebrali prefrontali-sensomotorie e
cerebellari-occipitoparietali caratterizzano i giovani fratelli
di pazienti con schizofrenia e sono legate al rischio genetico
per il disturbo. Queste alterazioni sono state osservate anche
in pazienti con schizofrenia e in individui che presentano
sintomi psicotici sottosoglia, suggerendo una convergenza tra
fattori di rischio genetici e clinici.
In particolare, queste alterazioni erano evidenti durante la
tarda adolescenza o la prima età adulta, in prossimità dell'età
tipica di insorgenza della schizofrenia, e non prima o dopo
questa fascia di età". Questo risultato evidenzia l'importanza
di un approccio orientato all'età nello studio della
schizofrenia. "Esiste - spiegano ancora i ricercatori baresi -
una componente genetica significativa nel rischio di
schizofrenia, che può essere utilizzata per indicizzare il
rischio individuale". La ricerca è il risultato di un
partenariato Ue-Usa finanziato dalla
borsa di studio Marie Skłodowska-Curie ed è stata pubblicata
dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences
Usa (Pnas).
In collaborazione con Università di Bari
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