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Viaggio tra le vite dei Copti uccisi dall'Isis

Un libro ripercorre volti e storie dei 21 decapitati in Libia nel 2015

(ANSA) - ROMA, 19 FEB - I nomi, i volti, le storie, perché non siano ricordati solo come "un gruppo" ma con la loro identità, la loro giovinezza, la voglia di un futuro migliore. Sono i 21 copti che furono uccisi dall'Isis il 15 febbraio del 2015 su una spiaggia della Libia, dove si trovavano per lavoro.
    La loro vicenda è raccontata nel libro di Martin Mosebach, "I 21. Viaggio nella terra dei martiri copti", che ora arriva anche in Italia con l'editore Cantagalli.
    Le immagini di quella esecuzione fecero il giro del mondo. Le vittime erano in ginocchio davanti ai loro sicari con le tute arancioni. Vennero decapitati. Lo scrittore tedesco ha deciso allora di intraprendere un viaggio nell'Alto Egitto, da dove veniva la maggior parte di quei giovani, per cercare le loro storie, i loro familiari, e le origini di una fede che li ha portati a rivolgere le ultime parole a Cristo, come poi è stato rivelato leggendo il labiale di quei cristiani che affrontarono la morte sussurrando appunto una preghiera. Tra i 21 c'era anche un non egiziano, Matthew, proveniente dal Ghana che scelse di condividere la sorte dei suoi compagni di lavoro cristiani.
    Mosebach ha cercato di conoscere le loro storie personali, a partire dalla loro fede, perché "oggi tendiamo a pensare che dietro ad ogni conflitto fra le religioni vi siano soprattutto motivi politici ed economici". E invece per questi giovani egiziani la religione era "l'ultima e più alta realtà della vita". Così come lo è per tutta la minoranza cristiana in Egitto. I 21 lavoratori, che erano emigrati per necessità economiche in Libia, pur sapendo dei pericoli ai quali andavano incontro, uccisi dagli islamisti infatti "vivevano in un mondo nel quale da molti secoli essere cristiani non era qualcosa di ovvio". Fare carriera, ma anche semplicemente studiare e trovare un lavoro dignitoso, non è semplice per i cristiani che vivono in uno dei più grandi Paesi musulmani. Ma la storia del cristianesimo in Egitto, dove, se pur minoranza, comunque i fedeli sono dieci-dodici milioni di persone, risale alle origini stesse di questa fede. E' normale dunque essere praticanti, andare a Messa, pregare tutti i giorni, tatuarsi la croce sul dorso della mano o mettere al proprio figlio un nome cristiano. Pur sapendo quale corsa ad ostacoli sarà la vita.
    Le salme dei 21 copti, una volta trovate in Libia, furono riportate in Egitto e sono nel santuario sorto nel villaggio di al Awar (provincia egiziana di Minya) per essere ricordate. La Chiesa copto-ortodossa li ha infatti immediatamente riconosciuti come "martiri". E il santuario è stato realizzato grazie anche alla collaborazione finanziaria delle autorità civili, per volere del presidente Al-Sisi. Un finanziamento eccezionale in quanto in Egitto la Chiesa cristiana è economicamente indipendente e non riceve normalmente aiuti dallo Stato. La memoria liturgica è stata celebrata qualche giorno fa, il 15 febbraio, e quest'anno alcune coppie di sposi hanno voluto sposarsi in questo giorno per rendere omaggio proprio a quei 21 martiri della fede. (ANSA).
   

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