Per i membri della compagnia il teatro è un luogo di riscatto sociale e uno strumento per costruire relazioni, ma è in primo luogo un impegno quotidiano, un lavoro: gli attori che al momento animano La Ribalta sono a tutti gli effetti dei professionisti, inquadrati come lavoratori dello spettacolo e assunti a tempo indeterminato. “Qui si viene tutti i giorni a fare delle lezioni, a provare, ma oltre all’aspetto professionale c’è qualcosa di più: tutto questo fa acquisire autonomia, un’identità più forte. Se all’inizio c’erano difficoltà anche ad affrontare cose semplici, come prendere un treno o un autobus, oggi se io accompagno il gruppo all’aeroporto so che mentre parcheggio l’auto loro hanno già fatto il check-in. Gli attori sono stati in grado di partire e fare 13 ore di volo da soli per andare in Argentina, in questi anni abbiamo girato l’Europa: consumiamo valigie come le scarpe, tanto che per quest’ultimo Natale il regalo per tutti è stato un trolley”.
Il direttore artistico spiega che l’aspetto più difficile, talvolta, è lo sguardo altrui: “Penso che negli anni siamo riusciti a vincere il pregiudizio, anche se ogni tanto ci capita qualche situazione particolare: in tanti teatri veniamo trattati alla pari, ma a volte, al nostro arrivo, ci è successo di leggere in chi ci accoglieva un atteggiamento protettivo o compassionevole, che noi cerchiamo subito di eliminare. Di solito riusciamo davvero a stupire, perché poi queste persone vedono lo spettacolo e capiscono che la situazione non era quella che si aspettavano”.