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Fusione a confinamento, la svolta possibile per energia a zero emissioni

Fusione a confinamento, la svolta possibile per energia a zero emissioni


RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

di Redazione ANSA


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Alcuni dei protagonisti dell’impresa dicono che è come aver messo “una stella in una bottiglia”. Metafore suggestive a parte, l’annuncio – l’8 settembre scorso – del successo del test per la fusione
a confinamento magnetico realizzato dalla Cfs, società spin-out del Mit di Boston e di cui Eni è maggiore azionista, è storico. Il Commonwealth Fusion Systems (Cfs) ha condotto con successo il primo test al mondo del magnete con tecnologia superconduttiva HTS (HighTemperature Superconductors) che assicurerà il confinamento del plasma nel processo di fusione magnetica.

“La fusione è il processo che alimenta il sole, in un certo senso è la base della vita”, spiega Piero Martin, del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova. “La fusione ha combustibile praticamente infinito, non emette CO2, non ha scorie radioattive di lunga durata ed è sicura, cioè una volta innescato, il processo non può sfuggire di mano”. Nelle stelle il plasma è mantenuto compatto dalla forza di gravità. “Riprodurre il processo in laboratorio non è facile, perché questo combustibile è sfuggente, si deve trovare un modo per confinarlo”, aggiunge Martin. Per farlo non si può usare un oggetto fisico, perché il plasma raggiunge temperature altissime. Allora “si utilizza un intenso campo magnetico – dice Martin – che tiene ingabbiato il plasma all’interno di contenitori a forma di ciambella, che si chiamano tokamak”.

La fusione è una fonte energetica sicura, sostenibile e inesauribile che riproduce i princìpi tramite i quali il Sole genera la propria energia, garantendone una enorme quantità a zero emissioni e rappresentando una svolta nel percorso di decarbonizzazione. Questa fonte di energia non ha grandi misteri dal punto di vista teorico, ma il suo sfruttamento fino a oggi ha incontrato sfide tecnologiche enormi in senso letterale. Problemi di scala, dovuti ai limiti tecnici per confinare il plasma. Se le prime sistematiche ricerche sulla fusione nucleare controllata per scopi civili risalgono agli anni cinquanta, la tabella di marcia del Cfs prevede invece la costruzione entro il 2025 del primo impianto sperimentale e successivamente quella del primo impianto dimostrativo, che secondo le previsioni sarà in grado di immettere energia da fusione nella rete elettrica nel prossimo decennio.

 

Piero Martin (Universita' di Padova): "Che cosa e' la fusione nucleare"

Il test

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Il test ha dimostrato che un magnete sperimentale può sviluppare un campo magnetico sufficientemente sostenuto per consentire al piccolo tokamak del Cfs di ottenere energia netta dalla fusione, cioè sprigionare energia superiore a quella necessaria per l’innesco del plasma. Un tokamak piccolo vuol dire una forte riduzione dei costi di impianto, dell’energia di innesco e di mantenimento del processo di fusione e della complessità generale dei sistemi. Il tutto è possibile grazie a un materiale superconduttore che compone la parte attiva del magnete, in grado di raggiungere performance molto più elevate in termini di campo magnetico rispetto agli omologhi. “È un materiale che è noto da tempo – racconta Robert Mumgaard, uno dei fondatori del Cfs – si discuteva delle sue proprietà come magnete ma ci si domandava come raddoppiare il campo, noi lo abbiamo fatto in tre anni”.

Secondo Bernard Benigot, il direttore generale del progetto ITER, il reattore sperimentale per la fusione nucleare finanziato dall’Ue, il successo del test “è una gran bella notizia”. Benigot è soddisfatto perché “grazie al progresso del progetto ITER”, progetto scientifico pubblico su grandissima scala portato avanti da un consorzio di 35 paesi, “anche i privati hanno cominciato a considerare la fusione un’opzione”. Il test condotto dal Cfs “è a una scala più piccola” di ITER, spiega Benigot, “ma a mio avviso – conclude – porterà benefici sia al progetto ITER che allo sviluppo futuro del tokamak”.

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Il ruolo di Eni e della ricerca italiana

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Per Eni investire in progetti di ricerca di rottura ha una valenza strategica. “La fusione a confinamento magnetico è una fonte di energia praticamente inesauribile – racconta la responsabile Programma Fusione dell'Eni Francesca Ferrazza – e non emette gas serra, questo è particolarmente interessante per il processo di decarbonizzazione che abbiamo intrapreso già da diversi anni”. La decarbonizzazione oggi si fa soprattutto con le rinnovabili, ma potrebbe non essere più così nel giro di un decennio o due. Come spiegato dalla vice-presidente del Mit Maria Zuber, “a un certo punto, probabilmente intorno al 2040, raggiungeremo il massimo che possiamo fare con il solare e l’eolico, non potremo decarbonizzare oltre e avremo bisogno di un’alternativa a zero emissioni”.

Francesca Ferrazza: "I test sulla fusione nucleare di Cfs-Eni"

Ed ecco che portare sulla terra l’energia delle stelle, per decenni considerata fantascienza o quasi, diventa necessità. La sfida unisce ricerca teorica e applicata, il pubblico e il privato. “Abbiamo una partnership con il Mit da anni – racconta Ferrazza – e il sistema della ricerca italiano, Cnr, Enea e sistema universitario, è particolarmente forte sulla fusione, Eni ha grande esperienza di tipo ingegneristico e di gestione di progetti complessi”: un mix di competenze e capacità “che ci sembra ideale mentre costruiamo la strada” verso un traguardo “che è soprattutto industriale”. “Sulla tecnologia di fusione esistono tante sperimentazioni nel mondo – sottolinea – ma una centrale vera, funzionante e connessa alla rete ancora non c’è, noi abbiamo l’ambizione di riuscirci”.

 

Credit Foto: Fusion magnets (foto 1, 2 e 4) - Credits Gretchen Ertl, CFS/MIT-PSFC, 2021
SPARC-Fusion-Magnets (foto 3) - Credits T. Henderson, CFS/MIT-PSFC, 2020

 

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