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I bite sono utili nei problemi articolari della mandibola?

Risponde il dottor Gianluca Vittorini Orgeas, membro della Commissione ANSA SIdP

Redazione ANSA

Da diversi anni, si parla, con crescente frequenza e diffusione, dell’uso del bite come rimedio nella terapia dei problemi articolari della mandibola o come adiuvante nella performance sportiva; con il termine inglese bite si indica comunemente un dispositivo odontoiatrico ad applicazione intraorale, rimovibile, che ricorda un paradenti da pugilato ed è da lungo tempo impiegato in odontoiatria, principalmente per la cura dei disordini temporomandibolari (TMD).

Essi costituiscono la seconda causa più comune di dolore orofaciale dopo il mal di denti e rappresentano un problema per la salute pubblica, visto il conseguente impatto negativo sulle normali attività quotidiane e sulla qualità di vita dei soggetti affetti.

I disordini temporomandibolari comprendono una serie di problematiche cliniche a carico dell’articolazione temporomandibolare, dei muscoli della testa e del collo, e delle strutture orali correlate. Iprincipali segni e sintomi clinici sono: il dolore con alterazioni funzionali a carico dell’articolazione e dei muscoli masticatori e facciali, rumori (click) articolari, limitata o deviata apertura della bocca e bruxismo, cefalee ed emicranie, acufeni, disfunzioni cervicali e alterazioni posturali; inoltre in conseguenza della masticazione disfunzionale, del serramento e del digrignamento, i pazienti affetti da TMD presentano anche segni e sintomi intraorali quali ipersensibilità di denti e gengive, ipermobilità, abrasioni dentali, impronte delle corone dentali su lingua e guance (linea alba).

Si stima che che la popolazione mondiale sia colpita in vario grado dai disordini temporomandibolari con percentuali oscillanti tra il 5% e il 12% e con differenze legate al sesso e all’età; la prevalenza del bruxismo in particolare, oscilla tra l’ 8% e il 31%. L’eziologia di queste problematiche non è univoca: i TMD infatti, riconoscono molteplici cause: traumatiche, iatrogene, psicogene, neurologiche, sistemiche e dismetaboliche; nel determinare un dato quadro clinico, esse possono interagire tra di loro e con fattori concomitanti, quali malocclusioni dentarie, lassità dei legamenti articolari, stress psicologico, terapie farmacologiche ormonali, condizioni di malnutrizione e defedamento.

In realtà però, va considerato che il nostro sistema neuromuscolare, responsabile della funzione masticatoria, ha un’elevata capacità di adattarsi agli stimoli che inducono alterazioni: solo quando tali meccanismi compensatori vengono sovraccaricati, insorgono deficit funzionali che si traducono soggettivamente nei segni e sintomi già citati. Va altresì sottolineato che, in virtù dell’incompleta conoscenza delle cause scatenanti, in prima istanza la terapia dei TMD si concentra su trattamenti non invasivi, conservativi e reversibili; generalmente viene previsto, soprattutto nei casi più gravi, un approccio multidisciplinare che includa e magari integri: counseling, terapia farmacologica, trattamenti manuali e manipolazioni, esercizi posturali, di stretching e rafforzamento muscolare, e l’utilizzo di un bite.

In letteratura scientifica vengono descritti moltissimi tipi di bite: prefabbricati o costruiti su misura dall’odontoiatra, in resina morbida e resiliente o in acrilico di consistenza dura; i cosidetti “occluding”sono bite di stabilizzazione, fabbricati individualmente per controllare e migliorare il corretto allineamento dell’arcata mascellare e di quella mandibolare invece i “non occluding”sono bite semplici, economici, di materiale morbido, genericamente adattabili a tutti i soggetti, con il fine di rilassare le tensioni muscolari e ostacolare il serramento dentale.

Attualmente il più frequentemente utilizzato in odontoiatria è il bite di stabilizzazione: uno spessore di resina acrilica dura fabbricato attraverso il rilevamento di impronte o scansioni delle arcate dentarie, in grado, una volta inserito sui denti dell’arcata mascellare o mandibolare, di guidare la chiusura della bocca al raggiungimento di un contatto ideale, per alleggerire le tensioni dei muscoli masticatori e gli stress dell’articolazione temporomandibolare, attraverso la creazione di un equilibrio neuromuscolare.

Una recentissima ricerca del National Institute Health Research sostiene che, per la bassissima qualità dei dati reperibili in letteratura, non è possibile affermare che effettivamente tali dispositivi riducano in maniera significativa la sintomatologia algica; inoltre non ci sarebbero nemmeno delle prove chiare relativamente al possibile effetto protettivo nei confronti dell’abrasione dentale, legata al bruxismo.

La stessa ricerca evidenzia anche come, in pazienti seriamente affetti da disordini temporomandibolari, non ci sono certezze scientifiche in merito al potenziale effetto benefico dei bite sui rumori articolari o sul grado di apertura della bocca; i ricercatori concludono evidenziando l’impossibilità non solo di determinare la superiorità di un tipo di bite rispetto agli altri analizzati, ma anche di valutare in maniera attendibile il relativo rapporto costi benefici relativo al loro uso in generale.

Per indagare invece l’effetto potenziale dell’uso dei bite su mal di testa, cefalee ed emicranie legate o concomitanti ai TMD una revisione sistematica, del 2021 pubblicata dall’University of Southern California evidenzia una riduzione statisticamente significativa dell’intensità e della frequenza di attacchi di mal di testa, riscontrata nei pazienti affetti da disordini temporomandibolari curati mediante bite di stabilizzazione in resina acrilica dura, adattati all’intera arcata mascellare.

I ricercatori concludono consigliando in ogni caso un approccio multidisciplinare in stretta collaborazione con medici specialisti, come i neurologi. In conclusione sottolineiamo che alla luce di quanto appena considerato, si dovrebbe evitare l’uso fai da te di bite generici, disponibili anche sul web, mentre sarebbe auspicabile il ricorso ad un professionista sanitario, come l’odontoiatra, per avviare un’appropriata procedura diagnostica in seguito alla quale si possa selezionare l’indicazione all’utilizzo del bite, identificandone la tipologia, o ad un approccio multidisciplinare che non può prescindere da una corretta diagnosi medica a 360 gradi

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