(ANSA) - ROMA, 06 MAR - ANSA) - ROMA, 06 MAR - La paura, la
responsabilità e la speranza. Ma anche la solitudine e
l'incertezza. Le strade vuote e le file ai supermercati, la
resistenza dalle finestre con canti e applausi e gli striscioni
con gli arcobaleni ottimisti sui balconi. Un anno fa l'Italia
piombava in uno dei momenti più tragici dal Dopoguerra,
scoprendo per la prima volta quel termine inglese, lockdown, che
svuotò vite e città. L'immagine-simbolo di quei mesi resterà per
sempre il triste corteo di camion dell'esercito col carico di
bare lungo le strade di una buia e ferita Bergamo. Erano passati
appena dieci giorni dall'annuncio dell'allora premier Giuseppe
Conte del cosiddetto decreto #iorestoacasa. Era l'inizio del
silenzio. 'Fuori era primavera', come ha sapientemente mostrato
Gabriele Salvatores nell'omonimo documentario, e le vie della
'chiassosa' Italia si ritrovarono improvvisamente deserte. Nel
silenzio nacquero e si scoprirono rumori che disegnavano
un'altra geografia ed umanità: lo scrosciare delle fontane, i
versi più netti dei gabbiani o di altri uccelli, e lo scivolare
sull'asfalto delle tante biciclette dei riders che, con i
ristoranti chiusi al pubblico, garantirono e ancora garantiscono
un minimo di sussistenza a queste attività. I paesini sembravano
abbandonati, le metropoli, invece, mostrarono tratti
post-apocalittici consegnati ad un silenzio senza fine e privo
di traccia umana se non le pattuglie delle forze dell'ordine o
dell'esercito. La fauna, in alcuni casi, si riappropriò degli
spazi 'occupati' dagli umani. E così non era raro che un orso
scendesse in città o che oche e rane camminassero
tranquillamente in fila indiana lungo quelle che una volta erano
trafficatissime strade. "Andrà tutto bene", si leggeva sui
balconi dove al tramonto gli italiani si ritrovavano per
lanciare un messaggio musicale di speranza. Prima l'Inno di
Mameli, poi i brani più simbolici della musica del Paese. Le
note di Ennio Morricone dalla chitarra di Jacopo, a piazza
Navona a Roma, sono state il simbolo della resilienza musicale.
Il Paese nell'ora più tragica si riscopre resistente, unito,
solidale. C'è chi, per esempio, improvvisò servizi di
volontariato per consegnare la spesa alle persone più anziane e
più sole. Mai come al tempo del lockdown le città senza uomini
scoprirono un volto umano. I ragazzi, banditi dalla scuola e
impegnati nella didattica a distanza, si affidarono alla
tecnologia per sopperire alla mancanza di contatto con gli
amici. Si iniziarono a festeggiare i compleanni rigorosamente da
remoto. E anche le lauree. Gli adulti scoprirono lo smart
working. Si viveva e purtroppo si moriva da remoto. Perchè negli
ospedali e nelle Rsa, sigillati a causa del contagio, tanti,
troppi anziani sopportarono la malattia da soli e da soli
morirono. Ma si andò avanti perchè si doveva. C'è chi organizzò
anche estemporanei scambi tennistici da un balcone all'altro per
mantenersi in allenamento. Chi si improvvisò pizzaiolo e
fornaio, tanto che farina e lievito registrano il sold out, nei
saloni e nelle camerette si attrezzarono estemporanee sale di
allenamento, seguendo istruttori online o consigli di amici
personal trainer. Uniche evasioni concesse: le passeggiate con
il cane, qualche corsetta e passeggiate in bicicletta. Oggi, ad
un anno da allora, l'Italia si trova ad affrontare nuove, e
decisive, sfide. Il rischio di finire di nuovo in lockdown è più
concreto che mai, complice l'estrema velocità di diffusione
delle varianti, soprattutto tra i più giovani. Quel che è certo
è che un'altra Pasqua, dopo Natale e Capodanno, passerà sotto
restrizioni. L'immagine potente dell'Urbi et Orbi di Papa
Francesco solo nell'immensa piazza San Pietro è ancora vivida
nel ricordo degli italiani, così come quella del presidente
della Repubblica, Sergio Mattarella, che il 25 aprile rese
omaggio al Milite ignoto in una deserta piazza Venezia. Un anno
di resistenza. E la guerra non è ancora finita. Anche se ora è
arrivato l'alleato decisivo: il vaccino. (ANSA).
PD/ S0B QBXB (ANSA).