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La parola della settimana è cura (di Massimo Sebastiani)

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Redazione ANSA

Quando parliamo di cura – e in questi giorni ne parliamo continuamente – proviamo un senso di sollievo ma al tempo stesso non possiamo non pensare a tutto quello che c’è e che c’è stato dietro e prima della cura. E’ una di quelle parola inevitabilmente a due facce: alimenta la speranza di una guarigione mentre ci ricorda costantemente che eravamo e forse siamo malati. D’altro canto nella parola cura risuonano almeno tre valenze: quella della terapia, quindi l’aspetto medico, quella del prendersi cura, il più umano di tutti, quello che risuona anche in tanti versi e in tante canzoni a cominciare da quella celeberrima di Franco Battiato, e poi quello che fa riferimento alla attenzione e alla precisione (trattalo con cura, maneggialo con cura). Come succede ad altre parole, però, e ce ne siamo già occupati nel caso di emergenza, il significato che rimanda ad una situazione negativa o comunque poco piacevole sembra finire per prendere il sopravvento sulle altre. E’ proprio quello che è successo alla parola cura almeno da quando è esplosa l’emergenza della Sars-cov 2 e in particolare in queste settimane, in cui speriamo, ci informiamo, discutiamo e mettiamo in questione procedure e deliberazioni che riguardano il vaccino anti-Covid e la gestione della sua acquisizione e somministrazione.

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E’ la luce in fondo al tunnel certo, ma l’impressione è quella di restare pur sempre in un tunnel perché sullo sfondo abbiamo un virus e una malattia che per tanti, per troppi, si è rivelata anche fatale. Eppure la cura, e le diverse applicazioni della parola stanno lì a ricordarcelo, ci riguarda molto da vicino e sempre, non solo durante e dopo una malattia, dalle cose più piccole a quelle più grandi. Per esempio, quando leggiamo sul frontespizio di un libro ‘a cura di’, l’espressione sta ad indicare ‘per iniziativa di’ e al tempo stesso rimanda all’idea che qualcuno si è dedicato a fare in modo che quel libro (una raccolta, una antologia, una traduzione ecc) potesse prendere vita. E la ‘curatela’, oltre ad essere il lavoro di chi si fa editore e commentatore di un testo, è nel linguaggio giuridico, una forma di assistenza per quei soggetti che non abbiano ancora o non abbiano più piene facoltà e piena autonomia.

Ma Orazio, il poeta latino vissuto prima di Cristo, amico e protetto da Mecenate, profondamente influenzato dall’epicureismo, sosteneva che ‘la cura è compagna permanente dell’uomo’, raccogliendo probabilmente nella parola tutte le sue sfumature e i suoi significati e anticipando di parecchio la celebre analisi heideggeriana sulla Cura, in tedesco Sorge. Definendola come caratteristica fondamentale dell’essere umano – Heidegger in Essere e tempo non usa queste espressioni, dice ‘essere dell’Esserci’ - , qualcosa di costitutivo, che sta prima di ogni antropologia esistenziale, dice Heidegger, cioè prima di tendenza, impulso, volontà, desiderio. La Cura è l’atteggiamento fondamentale che è alla base di tutti gli altri ed è la caratteristica di qualcuno, l’uomo, che si trova da sempre in una qualche situazione emotiva (Befindlichkeit, dice sempre Heidegger). Ed è interessante che il filosofo tedesco distingua due modi principali della Cura: l’aver cura degli uomini (Fürsorge) e il prendersi cura delle cose (Besorge).

Ecco perché Leonardo Boff, ex frate francescano di origine veneta e tra i massimi esponenti della ‘teologia della liberazione’, l’evoluzione latinoamericana del Concilio Vaticano II che sostiene emancipazione e giustizia sociale, dice che ‘la morte della cura è l’indifferenza’. Chi ci ascolta, chi rivolge la sua attenzione a noi e ci parla, come ci ha spiegato la psicanalisi che usa l’espressione talking cure, cura della parola, non è mai indifferente. Di cura di sé, epimèleia heautoù in greco, parlava già Socrate e la intendeva come attenzione alla propria crescita e alla propria formazione non in senso astratto teorico ma pratico, sviluppato attraverso attenzioni, esercizi e servizi a se stesso per migliorare anche il mondo. Nel ‘900 ne parlerà Michel Foucault proprio nel senso, estremamente pratico, di ‘tecnica di vita’, prima e meglio dei manuali di self-help.

In fondo cosa altro sono se non tecniche di vita e cura di sé e degli altri tutte quelle pratiche che vanno dalla meditazione al ‘magico potere del riordino’ di cui ha scritto Marie Kondo? I filosofi ci ricordano che siamo animali inquieti e instabili e che la cura, in senso boffiano quindi, fa parte di noi proprio come il linguaggio, le scelte, la responsabilità. E alla fine, ci spiega Lady Gaga, è sempre e solo una questione di amore. In linea con un’idea poi superata dell’etimologia della parola che deriverebbe da coera, coir che nell’antichità veniva fatta risalire a cuore. Più di recente la radice è stata individuata nel proto indo-europeo kew, ovvero guardare, fare attenzione, da cui deriverebbe anche curioso.

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