(di Marzia Apice)
HENRI ALLEG, LA TORTURA (Einaudi, pp.
XXIV - 110, 11 euro; traduzione di Paolo Spriano). Difficile,
forse impossibile, rimanere indifferenti ancora oggi di fronte
alla denuncia che Henri Alleg, negli anni '50 direttore del
quotidiano comunista Alger républicain, fece nel suo libro "La
tortura" (riproposto ora da Einaudi con la postfazione storica
di Caterina Roggero), nel quale raccontò le indicibili violenze
a cui fu sottoposto in una prigione algerina dall'esercito
francese durante la guerra in Algeria. Rocambolescamente fatto
pubblicare nel 1957 (quando il suo autore era ancora detenuto),
inizialmente sotto forma di querela sui quotidiani poi ampliato
come libro, il memoir ha nello stile asciutto, del tutto privo
di retorica, nella chiarezza tragica del linguaggio la sua
forza: l'autore - cittadino francese, cresciuto a Parigi e
trasferitosi ad Algeri per lottare insieme agli algerini e
denunciare sul suo giornale i metodi brutali degli occupanti
suoi connazionali - raccontò nei dettagli le modalità del suo
arresto e le torture subite durante la prigionia. Waterboarding,
elettroshock, ustioni, percosse, umiliazioni: sono alcune delle
violenze che fu costretto a sopportare e che egli vide
infliggere ad altri detenuti come lui. Eppure, con la sola forza
di volontà e la fermezza delle sue convinzioni, riuscì non solo
a uscirne vivo, ma a offrire ai suoi contemporanei e ai posteri
una testimonianza vera e potente. "E' agli 'scomparsi' e a
quelli che, certi della loro causa, attendono la morte senza
paura, è a quanti hanno conosciuto i carnefici e non li hanno
temuti, è a tutti coloro che, di fronte all'odio e alla tortura,
rispondono con la fiducia della pace che non può tardare e
nell'amicizia dei nostri due popoli, che bisogna pensare
leggendo al mia storia; giacché potrebbe essere quella di
ciascuno di loro", si legge nel libro. Le parole di questo
francese che parlava ai francesi (che denunciava la tortura con
forza proprio nel tentativo di difendere gli ideali del suo
Paese e ricordando quello che il suo stesso popolo appena pochi
anni prima aveva subito sotto l'occupazione nazista) furono un
pugno nello stomaco, e lo sono ancora, proprio oggi che poco
lontano da noi, alle porte dell'Europa, la guerra, la violenza,
la brutalità dell'uomo sull'uomo sono all'ordine del giorno. Il
libro ci inchioda di fronte alle nostre coscienze colpevoli,
alla nostra imperfezione di esseri umani, ricordandoci non solo
quella banalità del male che Hannah Arendt denunciò in
riferimento all'Olocausto, ma anche quello che Jean-Paul Sartre,
autore dell'introduzione, scrive con estrema, tragica lucidità
parlando di quanto accaduto ad Alleg. "Atterriti dallo stupore,
i francesi scoprono questa evidenza terribile: se niente vale a
proteggere una nazione contro se stessa - né il suo passato, né
le sue fedeltà, né le sue proprie leggi, - se bastano quindici
anni per cambiare le vittime in carnefici, allora chi decide è
l'occasione; basta l'occasione a trasformare la vittima in
carnefice, qualsiasi uomo, in qualsiasi momento". Secondo Sartre
dunque ognuno di noi potrebbe diventare il torturatore, in
qualche tempo e in qualche luogo: considerare la tortura come
qualcosa di "inumano" è pertanto un'inutile illusione, una
"vertigine", perché essa "è solo un crimine ignobile e lurido,
commesso da uomini contro altri uomini, e che altri uomini
ancora possono e debbono reprimere".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA