(di Marzia Apice)
JOHN REID/THOMAS LOVEJOY, SEMPRE
VERDI. SALVARE LE GRANDI FORESTE PER SALVARE IL PIANETA
(Einaudi, pp.300, 30 euro). Scampoli di paradiso, quelli in cui
chi crede vede la mano di Dio, e chi non crede può celebrare la
magnificenza di Madre Natura, esistono davvero: sono le più
grandi foreste del mondo, 5 in tutto (l'Amazzonia, le
megaforeste di Congo e Nuova Guinea, la Taiga russa e la foresta
boreale nordamericana). Purtroppo da anni le stiamo
distruggendo; forse lo sappiamo, o forse non ci facciamo neppure
caso o magari lo riteniamo un problema marginale, ma si tratta
di un patrimonio inestimabile, che dentro di sé contiene la
sopravvivenza stessa del Pianeta: queste gigantesche aree
boschive infatti costituiscono ecosistemi ricchissimi da ogni
punto di vista (anche antropologico, vi si parla un quarto delle
7mila lingue viventi del Pianeta), in grado di assorbire e
neutralizzare le temibili emissioni di anidride carbonica. È la
premessa di "SEMPRE VERDI", il bel saggio dai toni appassionati
scritto a quattro mani da John Reid e Thomas Lovejoy, pubblicato
da Einaudi. "I frammentatori di foreste del passato erano ignari
di una cognizione che noi oggi abbiamo: non può andare avanti
così. La salute del pianeta e dell'economia è incompatibile con
un'ulteriore liquidazione delle foreste", spiegano gli autori.
Il volume, ricchissimo di dati e informazioni, è in realtà un
vero e proprio racconto sul campo, realizzato visitando
direttamente le foreste e parlando con gli indigeni che vi
abitano e con esperti di varie discipline. L'obiettivo non è
soltanto far comprendere la ricchezza incredibile di questi
luoghi, ma spiegare al pubblico quanto convenga, anche
economicamente, salvarle dalla morte certa. Di certo è
affascinante pensare quanto nelle grandi foreste la vita
brulichi e sia in continuo fermento: addirittura in questi
territori boschivi continuano a essere scoperte specie nuove,
forme di vita sconosciute alla scienza, che convivono con una
grande varietà di popolazioni umane. Ma non è solo questo: il
problema centrale è il carbonio, o meglio il ruolo che le
foreste hanno nel suo smaltimento. "Preservare grandi quantità
di carbonio nelle foreste intatte costa poco, perché sono terre
remote e il processo è semplice", spiegano ancora, "Trattenere
il carbonio nelle foreste tropicali costa un quinto rispetto
alle spese per la riduzione delle emissioni del settore
energetico e industriale statunitense o europeo. Ed è almeno
sette volte più conveniente che far ricrescere le foreste dopo
averle abbattute. Sorprende che questa opportunità sia tuttora
sottovalutata e passi sotto silenzio in quasi tutti i piani
climatici nazionali". Gli autori con un linguaggio semplice
raccontano storie e aneddoti e spiegano dati, senza dimenticare
di bilanciare il dato più "emozionale" con quello più razionale.
Tante le proposte che a più livelli vengono presentate affinché
le foreste abbiano la chance di rimanere 'intatte': non si
tratta di rinunciare al carbone o passare alle auto elettriche,
c'è molto di più da fare, a ogni livello, dal comportamento
delle persone a quello degli Stati. Proprio da questi ultimi ci
si aspetta una assunzione di responsabilità con una serie di
azioni da fare, dalla possibilità di dare il controllo di queste
zone boschive ai popoli indigeni, che non solo conoscono le
foreste come nessuno ma sentono ancora forte il legame e i loro
obblighi nei confronti delle varie forme di vita non umana, alla
necessità che le singole Nazioni aumentino la percentuale di
terre protette, per limitare il disboscamento e l'edilizia
stradale. Se si vuole contrastare il riscaldamento del pianeta
le megaforeste sono fondamentali: ecco perché serve un'etica
della Terra condivisa, "un'economia che supporti la natura
invece di cancellarla".
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