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Nicola Fano indaga la teatralità della pittura

Nicola Fano indaga la teatralità della pittura

Da Paolo Uccello a Caravaggio e Burri i legami tra le due arti

ROMA, 13 agosto 2022, 16:47

di Paolo Petroni

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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 NICOLA FANO, 'LA CANDELA DI CARAVAGGIO - Da Paolo Uccello a Burri, quando l'arte dà spettacolo' (ELLIOT, pp. 118 + un ottavo di illustrazioni - 17,50 euro)

Il teatro moderno, dopo che il Codice di Giustiniano lo vietò e lo fece scomparire dalla cultura occidentale per un millennio, rinasce a metà del Cinquecento (c'è un documento del 1545 sulla nascita di una compagnia privata) dando corpo a un sentimento, un bisogno, anche se confuso, di teatro che molti dei pittori dell'epoca "seppero indirizzare al meglio indicando la strada della relazione strettissima tra messinscena (gestione dello spazio) e finzione (gestione del racconto). Tale è stata la funzione dell'arte nel passaggio dal Medioevo al Rinascimento: spiegare che il teatro è un modo di guardare".
    Ecco allora che Nicola Fano, autore, critico e storico teatrale, vede in Paolo Uccello, in particolare nella sua eccezionale 'Battaglia di San Romano', l'inventore del teatro moderno, quando, nella prima metà del Quattrocento, il teatro ancora non era rinato. Racconta così che il pittore realizzava in legno piccole figure di uomini, cavalli, lance che poi disponeva costruendo la scena che voleva dipingere, per studiare alla perfezione le relazioni prospettiche tra lo spettatore e l'immagine, cercando di governare l'intero spazio scenico, non solo quel che appariva in primo piano: "proprio in questo senso Paolo Uccello ha inventato la regia teatrale". Citando anche la forza e realismo del paesaggio in 'San Giorgio e il drago', sottolinea come si tratti di dare il senso della profondità della scena, per far vivere lo spazio del dipinto per intero, così che la storia sia evidente in tutti i suoi particolari.
    E' in questo rapporto spaziale e narrativo che Fano porta avanti la sua indagine attraverso sedici grandi pittori, da Piero della Francesca a Luca Signorelli, da Tintoretto a Carracci, da Bernini (che teatro ne scrisse ne fece molto) a Tiepolo, arrivando a Picasso e Burri. Con notazioni anche diverse, quando mostra come col tempo una certa gestualità e posare degli attori derivasse direttamente dalle figure di certi quadri. Un gioco di specchi tra finzione e realtà che ha una prima espressione nel 'Trionfo della morte' di anonimo, ora a palazzo Abatellis a Palermo, dipinto per una parete di uno stanzone d'ospedale, in un rimandare morti vere e morti finte, rappresentate come per esorcizzarle e in una costruzione di scene diverse, di tempi diversi dell'azione, come in una rappresentazione teatrale, con però un sincronismo "che sarà tipico dell'avanguardia teatrale del primo Novecento, che ha molto a che vedere anche con la classicità".
    Sono tanti gli esempi che si vorrebbe citare, le curiosità che l'animus profondamente teatrale di Fano riesce a vedere, come quando evidenzia il rapporto tra l'architetto teatralissimo Andrea Palladio e la pittura del Veronese, in particolare di quel ricco e gigantesco dipinto che sono 'Le nozze di Cana', la cui teatralità è nella ricchezza degli addobbi e degli abiti, nella quantità di invitati e servitori (attorno alla scena evangelica), di musici, camerieri e cuochi, ma anche cani e stoviglie preziose: "Che c'entra questo sontuoso banchetto veneziano con la Galilea la tempo di Cristo?", si chiede il nostro autore, parlando allora di finzione per celebrare la magnificenza della Serenissima. Con Caravaggio poi, che dà il titolo al libro, entra anche la tecnica dell'illuminazione, dell'evidenziare e nascondere, di rendere importanti i particolari.
    E di scoperta in scoperta, passando da un aneddoto a un interrogativo, ecco che si arriva all'oggi e alle lacerazioni, alle ferite, alle ustioni di Burri dopo la tragedia della guerra, avvicinate a 'Aspettando Godot' di Beckett: "un apologo sulla solitudine e l'impossibilità di futuro. la testimonianza di una ferita non più rimarginabile. Come per Burri insomma: uguale". Si conclude così questa sorta di gioco intellettuale che ognuno poi può continuare da solo, visitando un museo o sfogliando una bella edizione d'arte. Fano racconta alla fine come il seme di questo discorso, sviluppato nella solitudine cui ci ha costretto il Covid, ricercando i quadri nei libri, sia nato per lui portando a visitare gli Uffizi i suoi allievi, l'anno che insegnò Interpretazione Drammaturgica alla scuola Orazio Costa del Teatro della Toscana.
   

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