La Veronica è una mossa di lato, un
dribbling che può fare un giocatore con la palla come un torero
con la muleta, un'operazione di inganno e destrezza, che è
quella accennata nel loro spettacolo ''Demi-Veronique'' dai tre
autori e interpreti, Jeanne Candal, Caroline Darchen e Lionel
Dray col supportom direttivo di Vincente Lefevre, tutti membri
del collettivo ''La via brève'', che qui a Spoleto partecipa
anche alla realizzazione di ''Sans tambour'' con la regia di
Samuel Achachem, che sarà prossimamente a Avignone.
Al centro del discorso dei due lavori su basi musicali sono
rovine, macerie che restano dopo un crollo in una casa a due
piani in ''Sans tambour'' o dopo un incendio di una stanza in
''Demi-Veronique'', non per portare in scena un day after, ma
per creare una situazione esistenziale, un senso di vita
bruciata, incompiuta, da riprendere in mano e trasformare, se si
vuole sopravvivere, anzi vivere veramente e uscire dall'inferno
in cui ci troviamo. A questo accenna il prologo, in dialogo col
pubblico, di Lionel Dray, che parla di ''conosci te stesso'', di
fame, di paura, delle tenebre di cui è prigioniero ognuno di
noi, di apocalisse, che, spiega, non è quella con i quattro
cavalieri, ma etimologicamente, dal greco, indica ''l'azione di
svelare quel che è nascosto'', forse accennando una mezza
Veronica, appunto.
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