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Rosetta, la metà di Flaiano raccontata da Francesca Pansa

Rosetta, la metà di Flaiano raccontata da Francesca Pansa

In ''Ennio l'alieno'' con Renato Minore, candidato a Strega

ROMA, 24 marzo 2023, 18:27

di Elisabetta Stefanelli

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Rosetta, la metà di Flaiano raccontata da Francesca Pansa - RIPRODUZIONE RISERVATA

Rosetta, la metà di Flaiano raccontata da Francesca Pansa - RIPRODUZIONE RISERVATA
Rosetta, la metà di Flaiano raccontata da Francesca Pansa - RIPRODUZIONE RISERVATA

 ''Con il sacrificio, l'impegno, una vivida intelligenza la 'provinciale' Rosetta (veniva da una Vigevano molto laboriosa e molto classista) era l'unica donna che collaborava nei calcoli di Fermi, Amaldi, Pontecorvo, negli anni Trenta. Al momento di lasciare l'Italia per sfuggire alla morsa fascista, uno di questi ragazzi di Via Panisperna, di cui Rosetta non svela il nome, le lasciò alcuni documenti e altri fogli. Forse di carattere privato, forse inerenti alla propria ricerca. Ma qualche tempo dopo Ennio, in un raptus di gelosia, le impose di bruciare tutto. Era una ricercatrice di valore, esistono alcuni lavori statistici da lei firmati, insegnò a Roma e a Napoli dove praticamente sostituiva nella cattedra di fisica un noto parlamentare che aveva avuto l'incarico per ragioni politiche, ma non era in grado assolutamente di affrontare la materia davanti agli studenti''. Così racconta all'ANSA Francesca Pansa che con Renato Minore firma il volume 'ENNIO L'ALIENO. I giorni di Flaiano' (Mondadori, pag. 220, Euro 18,50), libro tra i candidati al Premio Strega, dove appunto si racconta anche la vicenda della moglie Rosetta.
    Perché avete scelto di raccontarla? ''In un libro postumo di Ennio, 'Un bel giorno di libertà" - spiega Pansa -, la sua invisibile presenza. Lei pubblica un diario privato del marito. Lui racconta la nascita della figlia, i suoi primi giorni quando Roma è sotto i bombardamenti del 1943, la comparsa della malattia e la convinzione che possa guarire dopo pochi mesi. E mette la firma in quel diario.
    Rosetta no, la firma non la mette, ha capito che non è guarita, che non guarirà mai. Io ebbi subito un'immediata simpatia per questa donna sempre come ai margini nelle sue poche immagini in cui compare. Lei con Ennio nella notte romana da fidanzati alla fine degli anni Trenta sorridente, partecipe di quei giorni di bohème letteraria. Lei ai margini della foto, in un incontro a Madrid con il regista Berlanga per cui Ennio aveva scritto una sceneggiatura. Lei con la figlia Lè Lè sulla sabbia a Fregene''.
    Che ruolo ha avuto nella vita e anche nell'opera di Flaiano? ''È stata la compagna di Ennio nelle serate romane letterarie per molti anni. Ci ha lasciato qualche viva testimonianza di quelle conversazioni, di quei progetti letterari, di quella vita comunitaria tra Piazza di Spagna e la libreria Rossetti - continua l'autrice - che aveva al centro personaggi come Cardarelli, Brancati, Penna, Palazzeschi, i pittori di Via Margutta, Mafai, Vespignani, Fazzini, Scialoja. Al mondo del cinema, era un po' estranea, qualche volta ostile anche se pensava che Ennio, nonostante le molte delusioni, ne fosse attratto. Quel modo di scrivere soggetti e sceneggiature per lei gli era molto congeniale. Soffriva molto del fatto che come scrittore non fosse molto letto, ma citato solo attraverso le battute peggiori. E raccontava di aver molto sofferto quando, a casa Bellonci, un'amica della Domenica si era rivolta al marito dicendogli "Venga , venga Flaiano, mi dica una flaianata".
    Il suo sacrificio è stato nel nome del marito ma soprattutto in quello della malattia della figlia Lè-Lè… Non c'è dubbio. La malattia l'ha isolata dalla vita di relazioni, l'ha emarginata sempre più nel lavoro, le ha imposto vincoli e doveri che non si sono mai allentati, ma le ha dato anche la forza e la consapevolezza di dover agire in una situazione di continua emergenza, affrontata con coraggio, determinazione con scelte anche quotidiane e decisioni che riguardavano i giorni futuri.
    Ennio è stato profondamente travolto dalla condizione in cui versava Lè Lè, dallo scherzo atroce del caso che era diventato il suo destino. La sua scrittura porta i colori di quella sua ferita mai rimarginata. Credo che non sia stato molto presente, si sia stordito, per dimenticare, di lavoro, di viaggi, di altre presenze femminili''.
    L'accudimento è un limite o una risorsa? ''Nel caso di Rosetta era l'unica strada possibile. A quei tempi, nella quasi totale assenza di ogni istituzione nei confronti di disabilità così gravi non c'era altra soluzione. Ma è stato anche una risorsa: perché ha dato a lei l'imprinting di un'esperienza davvero fondamentale, di prossimità, di dolore, di cura, di quelle che segnano l'esistenza in profondità e non permettono cedimenti né alibi''.
    Lei, che l'ha conosciuta, che ricordo ne ha? ''Negli anni Novanta, mi capitò di incontrarla due volte, in presentazioni del libro che aveva curato, a Roma e in Abruzzo, a Teramo. Lè Lè era morta da qualche anno. Il libro era bellissimo, "Mi riguarda", pieno di storie di vita, di testimonianze preziose. Raccoglieva le voci di alcuni scrittori tra i maggiori come Giuseppe Pontiggia e Giancarlo De Cataldo, Clara Sereni, che avevano avuto figli disabili. Tanti ritratti pieni di amore e di dolore, poi il problema della cura, dell'assistenza, dell'isolamento delle famiglie, del silenzio da cui molto spesso queste storie erano avvolte. Rosetta usciva dal silenzio che l'aveva sempre circondata. Disse tra l'altro: "Io e Ennio dovevamo nasconderci, ci si scontrava in un muro di silenzio, eravamo isolati, come complici di una colpa che scontavamo".
    E non dimentica gli intellettuali che frequentavano la sua casa di Fregene, la sua sensibilità è particolarmente ferita dal comportamento di Federico Fellini che finge di non vedere Lè Lè, quasi la sfugge e consiglia di metterla in un manicomio''.
   
   

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