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Ali Abbasi, in Iran non è più protesta ma rivoluzione

Ali Abbasi, in Iran non è più protesta ma rivoluzione

Regista iraniano in gara per Danimarca a Oscar con Holy Spider

ROMA, 04 dicembre 2022, 19:48

di Francesca Pierleoni

ANSACheck

Holy Spider - RIPRODUZIONE RISERVATA

Holy Spider - RIPRODUZIONE RISERVATA
Holy Spider - RIPRODUZIONE RISERVATA

Quello che sta succedendo in Iran "è la conseguenza di ciò che è accaduto nel Paese negli ultimi 50 anni. Secondo me non si tratta più un movimento di protesta, ma di una rivoluzione, e penso che cambierà il volto di quella quella regione per sempre. Non avrei mai pensato di vedere un giorno donne che marciano sulle strade iraniane, con dietro di loro anche gli uomini, consapevoli che se le cose cambieranno sarà un beneficio per tutti.". Lo spiega, negli incontri in streaming di Deadline Contenders dedicati ai titoli in lizza come miglior film internazionale, il regista iraniano naturalizzato danese Ali Abbasi.

Il cineasta, dopo essere stato in gara per la Svezia alla statuetta nel 2019 per Border, torna in corsa per la Danimarca con Holy Spider, nato dalla vera storia del serial killer iraniano Saeed Hanaei, operaio e padre di famiglia, che tra il 2000 e il 2001 ha ucciso nella città sacra di Mashhad 16 prostitute, convinto così di compiere il lavoro di Dio. Il film (che arriverà in Italia a febbraio con Academy Two) ha debuttato a Cannes, dove ha vinto il premio per la migliore attrice protagonista, Zar Amir-Ebrahimi, interprete iraniana rifugiata in Francia dal 2008, dove nel 2017 ha ottenuto la cittadinanza. "Noi chiaramente conoscevamo bene il contesto, sapevamo della profonda misoginia nel regime e nella società iraniana, ma quando Holy Spider è uscito alcuni non hanno considerato quell'aspetto - spiega Abbasi - e hanno pensato fosse il solito film noir che sfruttava reali fatti drammatici in un contesto esotico/mediorientale. Vedendo però quello che sta succedendo, ora molti comprendono di più ciò che il film racconta". Zar Amir-Ebrahimi, interprete nella storia di Rahimi, una giornalista che si mette a rischio nell'indagare sul serial killer, si è chiesta "quali fossero le motivazioni del personaggio. Oggi, alla luce dei fatti a cui assistiamo, considero il film e il mio personaggio in maniera diversa. Vedendo le donne iraniane protestare in strada e rischiare la propria vita per cambiare la società mi sono resa conto che, allo stesso modo, Rahimi rischia per ottenere la libertà. A lungo nel mio Paese, in quanto donne, siamo state sistematicamente fermate o ostacolate, qualcosa che ti spinge alla rassegnazione. E' ciò contro cui si combatte oggi in Iran, dove è realmente in atto una rivoluzione perché donne e uomini stanno chiedendo insieme il rispetto dei loro diritti civili".

Abbasi, che ancora viveva in Iran (si è trasferito in Europa 20 anni fa) all'epoca dei fatti, ha pensato per la prima volta a realizzare un film su Saeed Hanaei, quando dopo il suo arresto (è stato condannato nel 2001 e giustiziato nel 2002, ndr) una parte del pubblico e dei media più conservatori iniziarono a celebrarlo come un eroe. L'intento del regista con Holy Spider "non era fare un film su un serial killer, ma su una società killer, sulla misoginia profondamente radicata all'interno dell'Iran, che non è specificamente religiosa o politica ma culturale". Il cineasta sottolinea anche di non essersi mai impegnato tanto nella promozione di un suo film: "Stavolta sento una responsabilità più forte, perché so che parlando di Holy Spider ogni volta si parla anche dell'attuale situazione in Iran e della misoginia che ancora sussiste. Visto che non posso tornare in Iran, questo è il mio modo di combattere".

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