di Redazione ANSA

Una mucca da 175 milioni di hamburger

Produrre 175 milioni di hamburger dalle cellule di una sola mucca, invece di macellarne 440mila. E’ la scommessa di Mosa Meat, start-up dell’Università di Maastricht in Olanda nata sugli sviluppi del progetto di ricerca che nel 2013 ha portato il team guidato dal professor Mark Post a presentare al pubblico il primo hamburger creato in laboratorio, da coltura cellulare. Mosa Meat ha raccolto investimenti per 7,5 milioni di euro e punta a portare sul mercato i primi prodotti nel 2021. Ci sono ancora grandi questioni da risolvere. Di tipo scientifico, economico, regolamentare e sociale.
Finora non è chiaro quanta energia ci voglia per fare carne in coltura. Gli scienziati inoltre utilizzano siero di feto bovino, circostanza generalmente accettata a scopo di ricerca ma che potrebbe essere eticamente discutibile per un’impresa commerciale. I costi di produzione sono proibitivi: sei anni fa l’hamburger prototipo è costato oltre 300mila euro, oggi le stime parlano di 20 euro al chilo. E poi ci sono incognite regolamentari perché questi prodotti dovranno passare l’esame dell’Ue come ‘nuovi alimenti’ (Novel food). Infine, l’accettazione del pubblico non è scontata.

Bovini contro automobili

Mosa Meat

Nel progetto di Mosa Meat ha investito Sergey Brin, uno dei co-fondatori di Google. Allo stesso concetto lavorano start-up giapponesi, israeliane e americane, che hanno raccolto centinaia di milioni in investimenti. Per capire perché gli analoghi della carne destino tanto interesse bisogna andare indietro di qualche anno. Oltre alle raccomandazioni delle autorità sanitarie di moderare i consumi, almeno dal 2006 la carne è vista come una ‘nemica’ del clima. In quell’anno un rapporto Fao dal titolo “L’ombra lunga dell’allevamento” (Livestock’s long shadow) quantificava le emissioni di gas serra del settore al 18% del totale, con il metano prodotto dalla fermentazione enterica dei ruminanti (flatulenze di mucche, pecore e capre) a dare un contributo al cambiamento climatico “superiore a quello dei trasporti”. Grazie a una comunicazione centrata su questo aspetto, la notizia ha fatto il giro del mondo, con titoli come ‘le mucche inquinano più delle automobili’. Un frame, come direbbero gli studiosi di comunicazione, che resta ancora oggi molto forte. Questo nonostante la stessa Fao abbia corretto il tiro nel 2013, in un nuovo rapporto che riduce le stime del contributo al riscaldamento globale dell’allevamento e lo indica come un alleato nell’azione climatica. Le emissioni dirette del settore sono il 5% del totale contro il 14% dei trasporti, solo se si aggiungono le emissioni indirette (inclusi mangimi e… trasporti) si arriva al 14,5%. Sempre secondo la Fao, con i metodi e le tecnologie giuste l’allevamento può fare la sua parte per contenere l’aumento globale della temperatura.

Se la carne è debole dal punto di vista delle pubbliche relazioni, la domanda di carne a livello globale è sempre più forte. Secondo il World Resource Institute tra il 2010 e il 2050 il consumo di alimenti di origine animale sul pianeta aumenterà del 68%, e potrebbe raddoppiare (+88%) per le carni di ruminanti. “Con la carne coltivata possiamo produrre più carne, in modo che tutti possano avervi accesso e non diventi un prodotto scarso riservato solo ai ricchi”, ragiona Sarah Lucas, direttrice operativa di Mosa Meat. “Con un ridotto impatto ambientale e più attenzione al benessere animale”, aggiunge.

“L’allevamento tradizionale non può coprire tutto l’aumento della domanda – spiega Lucas – e produrre carne dalle cellule è molto più efficiente di allevare un animale per mangiarne una piccola porzione e scartare il resto”.


Obiettivo riduzione delle emissioni

Mosa Meat

Ma la carne in laboratorio divide ambientalisti e attivisti del benessere degli animali. Oltre alla già citata questione dell’uso di siero fetale bovino, alcuni in questi gruppi mettono l’accento sull’impiego di organismi transgenici e chiedono di sapere di più sui consumi energetici che il processo richiede. E poi c’è l’allevamento convenzionale, che non sta a guardare e almeno in Europa già investe per tagliare le emissioni.

“Il settore agricolo europeo ha ridotto le emissioni di gas serra del 20% negli ultimi 25 anni e sta investendo per ridurle ancora di più”, racconta Riccardo Siligato del Copa & Cogeca, le organizzazioni degli agricoltori e delle cooperative agroalimentari europee. A questo scopo si lavora e si investe su “nuove razze, modifica dei mangimi per ridurre la produzione di metano da parte dei bovini e sostituzione dei fertilizzanti sintetici con quelli organici”, aggiunge Siligato, sottolineando che “in Europa abbiamo gli standard di sicurezza alimentare e benessere animale più alti del mondo”. Di recente una multinazionale olandese ha presentato un dossier all’Efsa per ottenere il via libera alla commercializzazione di un additivo per mangimi capace di ridurre del 30% le emissioni di metano nei bovini del 30%. “L’allevamento – conclude Siligato – dà lavoro a moltissime famiglie che contribuiscono a mantenere vitali e dinamiche le aree rurali. Vogliamo lasciare alle prossime generazioni la possibilità di godere della campagna e del contatto con la natura oppure promuovere l’abbandono delle aree rurali per concentrare la produzione alimentare nelle mani di poche industrie multinazionali?”


Scienza e marketing

Mosa Meat

Imprese come Mosa Meat potrebbero ottenere risultati interessanti dal punto di vista della ricerca, a prescindere dall’esito commerciale dell’impresa. Ma altri carni “alternative” sono già sul mercato. Si tratta di polpette a base di proteine vegetali che imitano in tutto e per tutto (incluso l’effetto sangue) il sapore e la consistenza dell’hamburger o del kebab. Insieme alle carni coltivate, sono il ‘nuovo che avanza’ dell’alimentare e creano aspettative nei media anche perché le imprese che vi si sono dedicate hanno raccolto milioni da parte di investitori di fama, come Bill Gates o Leonardo Di Caprio, e colossi dell’alimentare tradizionale, come il secondo più grande produttore e distributore al mondo di carni Tyson Foods. Mentre restano molti dubbi sul valore nutrizionale di questi surrogati, i numeri raccontano che, nonostante il battage mediatico, la “carne” vegetale è lontana dallo sconvolgere il mercato tradizionale. Basta dare uno sguardo agli Stati Uniti, il mercato più maturo per questi prodotti. Aziende americane avanguardia del settore come “Beyond Meat” o “Impossibile Foods”, che oggi vendono i loro hamburger vegetali a catene fast food come Burger King, sono state fondate da un decennio. Soprattutto negli ultimi tempi le vendite sono aumentate a ritmo sostenuto (oltre il 10% l’anno) e hanno superato i 4 miliardi di dollari. Sembrano cifre astronomiche, ma rappresentano una quota di appena il 3% del mercato nazionale americano della carne. Affermazioni mirabolanti come quella del Ceo di “Impossible Foods” Pat Brown, che si vanta di poter mettere fuori mercato gli allevatori, al momento sembrano francamente esagerate.

 

Per saperne di più
Lo studio FAO del 2006
Lo studio FAO del 2013
Il rapporto Chatham House sugli “Analoghi della carne”
La scienza e le questioni aperte della carne in vitro