Oltre due metri d'altezza, la testa
di un manichino in stile sessantenne brit attempato (capelli
grigi, ricci e radi, papillon e occhiali compresi), una lucetta
luminescente blu sempre accesa attraverso uno degli occhi, il
corpo di una lavatrice coperta da camicia e completo, una
garbata voce meccanica, tanta voglia d'imparare, un tocco di
ribellione adolescenziale, un talento naturale per il ballo e
una passione per i cavoli. E' Charles Petrescu (Chris Hayward),
il robot fatto in casa che il robivecchi tuttofare, novello
Geppetto, Brian (David Earl, conosciuto soprattutto per il ruolo
nella serie cult Afterlife con Ricky Gervais, giunta alla terza
e ultima stagione), si costruisce tra le campagne del Galles in
Brian e Charles, la delicata dramedy di Jim Archer che debutta
al Giffoni Film Festival per poi arrivare nelle sale dal 31
agosto distribuita da Lucky Red e Universal Pictures
International Italy.
Utilizzando gli strumenti del mockumentary (finto
documentario), arrivano così a un pubblico più ampio le
avventure di Brian e Charles, create da David Earl quasi 10 anni
fa per le sue esibizioni nei club di stand up comedy. Ne è nato,
in coppia con Hayward, uno spettacolo di successo in coppia
prima trasformato in un corto e ora in un lungometraggio
coprodotto da Channel 4. Un viaggio nel quale la comicità più
acre degli spettacoli live si è addolcita in forma di favola
moderna. "Brian negli spettacoli aveva un'attitudine più
conflittuale - spiega in conferenza stampa a Roma Hayward che è
anche cosceneggiatore con Earl-. Abbiamo voluto dargli un po'
più i tratti di uno 'sfavorito', rendendo il personaggio un po'
più piacevole, volevamo che il pubblico tifasse per lui".
Così il gallese Brian nel film è un uomo ottimista, spiritoso
e gentile, che vive un vita semplice, soffre i bulli e la
solitudine. Il tentativo di assemblare con elementi raccolti
nelle discariche, un bizzarro robot/ amico, all'inizio sembra
fallire ma all'improvviso Charles prende vita. Per la storia "mi
sono anche ispirato al rapporto con mio primo figlio che quando
portavo in giro lo spettacolo era adolescente - racconta Earl -.
Volevamo dare quella verità emotiva al film".
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