L'abbandono degli studi è una
criticità che aleggia da sempre sull'Italia. In Europa,
nonostante i progressi degli ultimi anni, siamo tra i peggiori
nel garantire ai ragazzi un titolo di studio sufficiente (la
maturità o una qualifica professionale) per entrare con un
minimo di prospettiva nel mondo del lavoro. A dirlo sono gli
ultimi dati ufficiali sulla dispersione scolastica in Italia
diffusi dalla Commissione Europea.
Così come riporta un'analisi del portale Skuola.net, secondo
quanto emerge dalla Relazione di monitoraggio del settore
dell'istruzione e della formazione per il 2020, la percentuale
di giovani nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni che
abbandonano precocemente l'istruzione e la formazione è stata
del 13,5 %.
Numeri peraltro relativi al 2019, ovvero prima dello scoppio
della pandemia, a cui si dovrebbero aggiungere quelli sulla non
trascurabile 'dispersione implicita' (certificati dalle prove
INVALSI). Inoltre, è vero che la curva della povertà educativa
presente in Italia (analizzata nel momento chiave del passaggio
dall'adolescenza all'età adulta) dal 2009 ad oggi è in picchiata
verso il basso. M
a ciò non basta a tranquillizzare, specie se viene fatto un
confronto con i nostri vicini di casa in Europa.
La percentuale di giovani nella fascia di età 18-24 anni che
abbandonano precocemente l'istruzione e la formazione (ovvero
che come titolo di studio si fermano alla terza media e
dintorni) - il cosiddetto indice ELET, Early leavers from
education and training - nel 2019 è stata del 13,5%, con un calo
di un altro punto percentuale rispetto al 2018 (quando era al
14,5%) e di quasi sei punti rispetto a un decennio fa (nel 2009
era al 19,1%).
Comunque ben lontani dal parametro di riferimento previsto
dall'Unione Europea per il 2020 (10%); seppur molto meglio
dell'obiettivo indicato per noi dalla stessa UE, comunque poco
ingaggiante (16%). La nostra situazione di partenza era talmente
drammatica che a Bruxelles ci hanno assegnato un punto di arrivo
comunque al di sopra dell'obiettivo comunitario. Molto
probabilmente questa generosità ci servirà in questi mesi,
quando dovremmo fare i conti con gli effetti della pandemia
sull'abbandono scolastico.
A preoccupare di più però è il confronto con il resto
d'Europa. Peggio di noi fanno solo quattro nazioni: Spagna,
Malta, Romania (che sfondano il tetto del 15%) e Bulgaria (più o
meno sui livelli dell'Italia, al 14,6%). Inoltre, ci sono Stati
che solitamente ci fanno compagnia (in negativo) nelle
classifiche di rendimento nei vari settori produttivi che,
in questo caso, fanno molto meglio di noi: è il caso, ad
esempio, del Portogallo (11%) e soprattutto della Grecia (4%). E
poi c'è il tema della distanza dalla quota base individuata
dall'Unione che impedisce di guardare con ottimismo al prossimo
futuro (quel 10% di abbandono precoce che è lontano anni luce).
Non tanto a livello generale quanto se entriamo nei vari
territori e segmenti sociali.
Le nette differenze che puntualmente si registrano tra le
regioni d'Italia, sul capitolo istruzione non solo si confermano
ma si amplificano ulteriormente. Se, infatti, nel Nord-Est
l'obiettivo europeo si può dire raggiunto (l'indice ELET si
ferma al 9,6%) al Sud la media schizza al 16,7%. Con, nel
complesso, i maschi che hanno più probabilità delle ragazze di
abbandonare la scuola prima del tempo (il 15,4% contro l'11,3%).
Anche se i più a rischio sono nettamente gli alunni nati
all'estero: il tasso di dispersione scolastica precoce qui copre
circa 1 alunno su 3 (il 32,5%), quasi il triplo rispetto a
quello di chi è nato in Italia (11,3%), notevolmente superiore
anche alla media UE (22,2%).
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